Diagnostica di campo-Ultimi articoli https://suivet.it/diagnostica-di-campo.aspx http://www.rssboard.org/rss-specification mojoPortal Blog Module it-IT 120 no Un quadrifoglio nello stomaco di una scrofa (dott. Claudio Mazzoni)

Non mi era mai capitato, sebbene spesso ne avessi sentito parlare. Per la verità lo ricordavo anche da un film di Harry Potter, però non l’avevo mai visto in una scrofa o meglio, nel suo stomaco. Avendo gatti a pelo lungo mi capita spesso, soprattutto in questa stagione, di vederlo espulso in giro per casa preceduto da quei sonanti conati così mirabilmente interpretati da Antonio Banderas nel Gatto con gli stivali di Shrek.

Ebbene sì! Sto parlando di un tricobezoario.

Mi trovavo sotto la randa del sole a svolgere una necroscopia di una scrofa morta in gestazione qualche ora prima. Raggiunta la cavità addominale mi sono reso conto subito che alla palpazione dello stomaco c’era qualcosa che non andava. Dall’esterno, non ho potuto fare a meno di constatare la presenza di una struttura consistente, apparentemente liscia e di forma ellittica, regolare, che fluttuava ben isolata all’interno dello stomaco (Foto 1). Mi sembrava un grande uovo e subito la mia mente fantasy è fuggita alla ricerca di una improbabile correlazione fra Alien ed il Trono di Spade immaginando un drago in grado di parassitare la scrofa deponendovi all’interno un suo uovo. Si! A mia parziale discolpa vi confermo che faceva molto caldo e la necroscopia al sole di fine giugno, in prossimità dello zenit, non aiutava a mantenere un minimo di lucidità!

Foto 1: Scoperta del tricobezoario

Foto 1: Scoperta del tricobezoario

Un tricobezoario è un bolo di peli nello stomaco o più a valle nel primo tratto dell’intestino. “Trich” di tricobezoario è una parola greca che indica capelli e “bezoar” deriva da una parola persiana “Panzehr” o da una parola araba “badzehr” che significa antidoto. Si tratta quindi di una condizione, in cui l’organismo cerca di difendersi dalla presenza di peli, o capelli, che si trovano collocati in una porzione del corpo dove non dovrebbero stare, una sorta di rimedio a questa condizione anomala. I peli vengono catturati e mescolati con muco e cibo all'interno delle pieghe dello stomaco per formare una massa ovale compattata o una palla (Foto 2). I tricobezoari si sviluppano lentamente e talvolta possono essere necessari molti anni per svilupparsi. Sono piuttosto rari, ma sono presenti in molte specie di mammiferi. Possono essere fatali se non rilevati tempestivamente e spesso richiedono un intervento chirurgico per la loro rimozione, cosa che li rende fatali nella specie suina anche, e se non altro, per le enormi difficoltà diagnostiche che avremmo nell’evidenziarli.

Foto 2: Estrazione del tricobezoario

Foto 2: Estrazione del tricobezoario

Oggi, dopo averlo opportunamente pulito ed asciugato, fa bella mostra di sé nel nostro ufficio per essere anche accarezzato dai nostri amici più stretti, in segno di buon auspicio, o almeno ci piace pensare così possa essere. D’altra parte, trovare un tricobezoario nello stomaco di una scrofa, ha la stessa probabilità di trovare un quadrifoglio in un campo di trifogli.


Dott. Claudio Mazzoni
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https://suivet.it/un-quadrifoglio-nello-stomaco-di-una-scrofa.aspx mazzoni@suivet.it (Dott. Claudio Mazzoni) https://suivet.it/un-quadrifoglio-nello-stomaco-di-una-scrofa.aspx https://suivet.it/un-quadrifoglio-nello-stomaco-di-una-scrofa.aspx Tue, 27 Jul 2021 06:53:00 GMT
Prelievo ematico dalla vena mammaria (dott. Claudio Mazzoni)

Il prelievo ematico nella specie suina, presenta spesso notevoli difficoltà operative che diventano via via più consistenti all’aumentare delle dimensioni dell’animale. La principale di queste è certamente legata al contenimento, eseguito solitamente con il torcinaso, per permettere l’espletamento del prelievo in un contesto di staticità e sicurezza accettabili. La pratica pertanto, richiede sempre l’impiego di due unità lavorative, la prima per la cattura dei suini e la seconda per l’esecuzione del prelievo.

Tuttavia, per le scrofe in sala parto, è possibile un approccio differente. La vena mammaria presenta, sia per il suo calibro che per il suo accesso, una bella opportunità per il veterinario che vuole eseguire prelievi di routine o di clinica individuale, anche numerosi. Effettivamente in un momento storico come questo, dove l’attenzione posta all’eradicazione della Malattia di Aujeszky si è fatta più pressante, conoscere questa metodica può essere davvero utile.

Vediamo come:
Materiali: anatomia di base, guanti in lattice, aghi usa e getta 20GX35mm, provette Vacuum tube da 10ml.

Attrezzatura per prelievo da vena mammaia
 

Metodo: la vena mammaria scorre in prossimità della linea di separazione fra la ghiandola stessa ed il muscolo obliquo esterno dell’addome, ma più precisamente nella compagine della ghiandola stessa. Il decorso è abbastanza profondo, per cui il posizionamento dell’ago deve essere ortogonale rispetto alla ghiandola. Il punto di repere è a livello del secondo o del terzo corpo mammario ma, in taluni casi anche nel secondo solco trasversale.
Il prelievo può essere eseguito tanto con la scrofa in stazione quadrupedale, quanto in decubito laterale (forse da preferirsi). Subito dopo il parto, a causa della tempesta ormonale a cui l’animale è sottoposto, il fastidio arrecatogli è davvero minimo. Tuttavia anche durante la lattazione inoltrata la manualità risulta piuttosto innocua.

Dopo un breve periodo di pratica, solitamente il prelievo si svolge in maniera rapida e indolore, anche grazie all’assenza dell’impiego del torcinaso. Inoltre viene fatto in perfetta solitudine dall’operatore che, in questo modo, non è neppure costretto a sottrarre un’unità lavorativa dall’azienda (Vedi filmato).


Dott. Claudio Mazzoni
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https://suivet.it/prelievo-ematico-dalla-vena-mammaria.aspx mazzoni@suivet.it (Dott. Claudio Mazzoni) https://suivet.it/prelievo-ematico-dalla-vena-mammaria.aspx https://suivet.it/prelievo-ematico-dalla-vena-mammaria.aspx Sat, 29 Nov 2014 09:04:00 GMT