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AMR negli allevamenti zootecnici-Prima parte

(dott. Andrea Setti)

In questo report legislativo inizierò la trattazione dell’antimicrobico resistenza negli allevamenti zootecnici, intesa come emergenza sanitaria e come patologia a carattere zoonosico.

AMR - Piano d’azione quinquennale della Commissione – le 7 aree coinvolte

La commissione europea, nel “Piano d'azione di lotta ai crescenti rischi di resistenza antimicrobica (AMR)” – COM (2011) 748 Bruxelles, 15.11.2011, già nell’introduzione, annuncia la gravità della situazione, come si può ben intendere dal seguente passo:

“1.1. Il rischio crescente di resistenza antimicrobica (AMR)

L'aumento della resistenza, la pressione esercitata per ridurre l'utilizzazione di antimicrobici, le condizioni di mercato poco incoraggianti, nonché la messa a punto sempre più difficile e costosa di nuovi antibiotici efficaci non hanno favorito gli investimenti in questo campo. Ne consegue che il numero di nuovi antibiotici in corso di elaborazione è esiguo. Lo sviluppo del commercio e dei viaggi attraverso il mondo favorisce la propagazione, tra paesi e continenti, della resistenza antimicrobica, che costituisce quindi un problema mondiale di sanità pubblica.”

Il titolo del successivo capitolo è, poi, assai eloquente: “1.2 Gli sforzi attuali sono insufficienti”.

Nel documento, come azioni chiave per una lotta efficace alla resistenza antimicrobica, sono prese in considerazione 7 aree:

  1. uso appropriato degli antimicrobici (nell'uomo e negli animali)
  2. prevenzione delle infezioni microbiche e della loro propagazione
  3. sviluppo di nuovi antimicrobici efficaci o di trattamenti alternativi
  4. cooperazione internazionale per arginare i rischi di aumento dell’AMR
  5. miglioramento del monitoraggio in medicina umana e animale
  6. ricerca e l'innovazione
  7. comunicazione, l'educazione e la formazione

Quelle che debbono vedere sicuramente in prima linea l’intera professione medico veterinaria, sono senz’altro la 1, la 2 e la 7.

Se ci guardiamo indietro, la storia della “terapia antimicrobica” si è sviluppata a partire dal 1675 sino ai giorni nostri, secondo tappe ben riassunte in questo documento. Oggi dove siamo? Forse siamo arrivati al capolinea? Non so se la terapia antimicrobica ha i giorni contati, come un quotidiano famoso ha scritto qui, ma, certamente l’attuale situazione deve far riflettere.

Gli allevamenti sono sotto accusa quale causa primaria dell’antimicrobico resistenza nell’uomo. A questo punto, sorgono spontanee alcune domande:

abbiamo questa responsabilità?

quale deve essere la reazione del mondo veterinario e zootecnico a questa accusa così pesante?

Se andiamo a vedere l’intensa produzione legislativa che l’UE ha prodotto nel tempo sull’argomento AMR, possiamo capire come il legislatore europeo abbia ben presente il “peso” della medicina veterinaria nella AMR. In particolare nelle Linee guida sull'uso prudente degli antimicrobici in medicina veterinaria (2015/C 299/04) si riporta:

“3.4. Responsabilità

Il contenimento della resistenza antimicrobica presuppone la cooperazione fra le autorità sanitarie pubbliche, alimentari, veterinarie e ambientali, l’industria, i veterinari, gli allevatori e altre parti, e tutti hanno delle responsabilità in questo ambito.

La responsabilità principale per l’uso prudente degli antimicrobici ricade su coloro che prescrivono e somministrano tali sostanze.

3.4.1. Operatore sanitario che redige prescrizioni

La persona che prescrive gli antimicrobici deve essere un veterinario cui è nota la storia del branco, dell’allevamento o dell’animale trattato.”

[omissis]

Nei casi in cui sia necessario prescrivere un antimicrobico, il veterinario che prescrive deve accertarsi attraverso un esame clinico in loco che i sintomi indicano un’infezione batterica.

Ove possibile, l’operatore sanitario che redige le prescrizioni deve prelevare campioni idonei dai quali si possa individuare il patogeno e misurarne la sensibilità antimicrobica. In casi acuti, quando il trattamento deve essere iniziato immediatamente per evitare la sofferenza dell’animale o limitare la diffusione di un’infezione, è comunque opportuno prelevare campioni. Se i campioni sono prelevati subito prima dell’inizio del trattamento, il test di sensibilità può essere eseguito durante la somministrazione del trattamento. I risultati possono essere quindi utilizzati per convalidare la scelta dell’antimicrobico e avviare il controllo epidemiologico. Quando il trattamento è praticato su base costante, test di coltura e di sensibilità ripetuti consentono di monitorare le tendenze della sensibilità antimicrobica e di rivedere quindi il trattamento, se necessario

[omissis]

Chi prescrive deve garantire la scelta dell’antimicrobico più adatto, sulla base delle informazioni più accurate e aggiornate sulla sua farmacodinamica e farmacocinetica, e di informazioni accurate e aggiornate sul funzionamento delle diverse classi di antimicrobici.

Chi prescrive deve sempre considerare l’uso di singole sostanze anziché di combinazioni di antimicrobici e deve assicurare che, ove si decida di somministrare una combinazione di antimicrobici, tutte le sostanze che la compongono siano attive contro il patogeno o i patogeni target.

Chi prescrive ha la responsabilità di fornire informazioni corrette alla persona che somministra l’antimicrobico. Si tratta, in primo luogo, delle informazioni sul prodotto (SPC, foglietto illustrativo, etichettatura) relative alla dose, alle indicazioni, ai periodi di attesa e alle avvertenze per un uso prudente.

[omissis]

3.4.2. Persona che somministra l’antimicrobico

La persona che somministra antimicrobici ad animali da compagnia è di solito il veterinario e/o il proprietario degli animali, mentre per gli animali destinati alla produzione di alimenti, gli animali di acquacoltura e gli animali da pelliccia è spesso l’allevatore o il personale che lavora nell’azienda agricola. Sono queste le persone che devono seguire attentamente le istruzioni in materia di somministrazione di chi ha prescritto gli antimicrobici e le sostanze alternative. Esse svolgono un ruolo essenziale anche nell’osservazione e nel monitoraggio degli animali malati e di quelli che non hanno bisogno di antimicrobici. Gli allevatori che usano mangimi di buona qualità, dispongono di una gestione adeguata degli stessi e attuano misure di biosicurezza possono influire positivamente sulla salute dei loro animali e ridurre la potenziale necessità di antimicrobici.

Chi somministra antimicrobici deve altresì:

•      cooperare con il veterinario che visita regolarmente gli animali e conosce la storia e l’attuale stato di salute del branco, allevamento o animale, per consentirgli di attuare misure di prevenzione delle malattie che tengano conto anche del benessere degli animali;

•      garantire il rispetto della dose corretta, della durata del trattamento e dello schema di dosaggio;

•      conoscere gli aspetti generali dell’uso prudente di antimicrobici e della resistenza antimicrobica, compresa l’esigenza di prelevare campioni ed eseguire test di sensibilità antimicrobica sui patogeni target.”

Credo che non ci siano dubbi: le maggiori responsabilità sull’uso prudente degli antimicrobici negli animali le abbiamo noi medici veterinari, assieme a chi somministra (proprietari ed allevatori).

Per capire cosa sta succedendo, basti pensare che come medici veterinari che entrano in allevamenti di suini, o vitelli, se ci recassimo in Olanda e, purtroppo, dovessimo andare in ospedale, ci troveremmo di fronte ad un trattamento speciale che prevede l’isolamento. Il pragmatismo olandese deve farci riflettere, ma non è altro che il risultato di una fredda e semplice valutazione di “dati” relativi da una parte al consumo di antibiotici nei vari paesi, dall’altra alla evoluzione della problematica dei livelli delle resistenze agli antibiotici nei vari paesi (qui l'esempio su carbapenems resistant (R) Klebsiella pneumoniae). Guardando questi dati, l’Italia non ne esce molto bene.

 

Si ringrazia il GDL Farmaco FNOVI