SUIVET

 

Hanno fatto le cose in grande e bene: il grattacielo di suini a 26 piani in Cina

(dott. Francesca Grappelli)

Piano 1: suini, piano 2: suini, piano 3: suini, …, piano 5: suini, …, piano 26: ancora suini...

Ebbene sì, in Cina, a Ezhou, nella provincia di Hubei, a meno di 100 Km dalla famosa Wuhuan, è stato inaugurato ad ottobre il più grande allevamento suinicolo mai esistito (GreenMe, 8 novembre 2022): 390 mila metri quadri di terreno, 26 piani ospitanti ciascuno 20 mila suini, sei ascensori che caricano fino a 10 tonnellate, 1,2 milioni di suini vivi caricati per essere trasportati al macello. A noi europei sembra una novità e, soprattutto, una follia, ma, in Cina, esistono già queste realtà di allevamenti intensivi da qualche anno, anch’essi strutturati su più piani ed ospitanti centinaia di migliaia di suini, ma solo con il grattacielo della Zhong Xin Kai Wei Modern Breeding Company si è arrivati a 26 piani con 600 mila suini.

Secondo alcuni rapporti, circa la metà della carne di maiale del mondo viene ora consumata in Cina e secondo le stime ufficiali, la domanda cinese di carni suine dovrebbe aumentare da 51,77 milioni di tonnellate a 60,77 milioni di tonnellate nel prossimo decennio (Russia Post Italiano, 30 novembre 2022) e per soddisfare questo appetito si renderebbe necessaria la costruzione di un numero sempre maggiore di allevamenti di animali da ingrasso. Il problema è che, attualmente, non c’è abbastanza terreno da dedicare all’allevamento di così larga scala; ma l’azienda Zhong Xin Kai Wei Modern Breeding Company ha risolto il problema realizzando una struttura che non solo risponde alla richiesta di mercato di carne di maiale, ma che anche dimostra di applicare buoni principi di ecologia. Considerando che la FAO ha dichiarato che le emissioni legate all’allevamento rappresentano circa il 15% delle emissioni annue di gas serra dovuti all’essere umano, una percentuale che supera l’inquinamento prodotto da tutti i veicoli in circolazione nell’Unione Europea, investire ora sull’allevamento intensivo richiede un’enorme disponibilità economica e un’ottima conoscenza delle leggi e normative vigenti al fine di creare una struttura che esaudisca le richieste alimentari della popolazione e che si inserisca in un’economia circolare al fine di impattare il meno possibile sull’ambiente.

Quindi, trascurando per un attimo l’aspetto etico e di biosicurezza, non si po' dire che i cinesi non abbiano “fatto le cose in grande e bene!”. Hanno occupato una superficie minima di terreno a fronte dei 600 mila suini allevati; hanno messo a punto un sistema automatizzato di controllo dell’aria, dell’umidità e della temperatura al fine di garantire “Brezza fresca d’estate e aria calda d’inverno”, come racconta l’azienda ai giornalisti de La Repubblica; hanno messo in atto pratiche di disinfezione ferree atte ad evitare l’ingresso di patogeni pericolosi per gli animali; hanno elaborato un sistema automatizzato e digitalizzato che eroga ad ogni singolo suino la corretta dose e formulazione di mangime; applicano un trattamento di rifiuti a base di biogas oltre che ad aver trovato il modo di trasformare il letame in energia pulita; infine, sono riusciti a sfruttare il calore generato dalla fabbrica di cemento per riscaldare l'azienda agricola.

Alcuni degli investitori hanno definito questa azienda suinicola come “una struttura più amica dell’ambiente” rispetto ad altri allevamenti di maiali (GreenMe, 8 novembre 2022). L’azienda ha investito tanto, economicamente parlando, ma si aspetta un ritorno economico ancora maggiore ed anzi, prevede a breve la costruzione di un grattacielo gemello; la Zhong Xin Kai Wei Modern Breeding Company è, difatti, incoraggiata da quanto affermano gli imprenditori degli altri allevamenti intensivi suinicoli strutturati a grattacielo, che già da un paio di anni lavorano attivamente nel settore, che ne dichiarano una straordinaria efficienza: Yuanfei Gao, vice presidente dell’azienda Yangxiang che ha costruito l’allevamento di suini sul monte Yaji afferma che la sua azienda ha un risparmio di circa il 30% rispetto ad altre aziende in Cina. La notizia di un “Pig Palace”, come lo hanno definito i giornali, ha portato gli ambientalisti italiani ad urlare allo scandalo: se già un allevamento intensivo suinicolo, che ospita di media 1600 animali, desta lamentele e manifestazioni pubbliche, figurarsi cosa può aver scatenato il grattacielo di suini!

Gli ambientalisti hanno rafforzato le loro convinzioni con la dichiarazione dell’EFSA a proposito delle notevoli doti cognitive del suino, provate da sperimentazioni scientifiche, che li ha riconosciuti esseri senzienti, capaci quindi di provare emozioni (Kodami, 9 novembre 2022). La curiosità maggiore però dei veterinari e degli allevatori dei “comuni” allevamenti intensivi europei è scoprire se, come e cosa accadrà se dovesse entrare un patogeno infettivo in una struttura di queste dimensioni. L’azienda ha risposto agli interrogativi sull’integrità della biosicurezza sottolineando il fatto che i lavoratori dovranno sottoporsi a più cicli di disinfezione e test prima di ricevere l’autorizzazione per entrare e che non potranno lasciare il sito fino alla fine del loro turno di lavoro, che dura una settimana. Considerando che la struttura è nata, secondo quanto riferito dall’azienda, anche per far fronte alla decimazione di capi suini a causa della PSA, è indubbio il fatto che siano prese precauzioni molto ferree e altamente restrittive in termini di biosicurezza; ma il dubbio rimane: Il The Guardian e Matthew Hayek, professore del Dipartimento dell’Ambiente della New York University sono scettici poiché, per quanto le strutture intensive possano ridurre l'interazione tra animali domestici e selvatici (e le loro malattie), un eventuale contagio si propagherebbe come un incendio, a causa dell’amplificazione e delle mutazioni continue degli agenti patogeni infettivi in una popolazione suina a così alta densità. Secondo sempre l’esperienza di Gao, (vicepresidente dell’azienda Yangxiang; vedi sopra), Yangxiang è riuscita a ridurre sensibilmente le perdite legate alla Peste Suina Africana, che ha imperversato nel 2019 in Cina, grazie all’uso della tecnologia e all’isolamento degli allevamenti e aggiunge anche che, mentre le aziende in Cina hanno perso circa la metà dei capi, nella sua azienda, invece, le perdite sono state contenute fino al 10%. Monita Mo ha riscontrato un minor impatto della PSA nel suo grattacielo di suini, la Best Genetics Group, e, a suo avviso, la discriminante maggiore è stata la biosicurezza in termini di gestione del personale; infatti dichiara ai giornalisti di One Earth (21 settembre 2020): “I nuovi edifici per la quarantena delle attrezzature e dei lavoratori, che peraltro vivono in case costruite in mezzo agli allevamenti, sono la nostra reazione alla febbre suina”, continua: “L’area-quarantena per chi lavora negli allevamenti è divisa in tre parti: prima gli operai si registrano, indicano da dove vengono e in quale allevamento sono diretti, poi cambiano vestiti e vengono disinfettati. Vengono presi dei campioni per degli esami di laboratorio. Se i risultati sono negativi, possono entrare nell’ultima area per altri due giorni, e da lì essere trasportati con gli autobus nei vari allevamenti. Ma se i risultati sono positivi, devono aspettare altri giorni”.

Dai numeri presentati da chi l’esperienza se l’è fatta, pare che il rischio di diffusione di una malattia infettiva da un focolaio interno non debba preoccupare tanto di più che in un qualsiasi allevamento intensivo suinicolo europeo.

Dal momento che il grattacielo è già stato costruito, non rimane altro che aspettare e vedere gli sviluppi.