(dott.ssa Giusy Romano)
Ebbene sì, si entra in quel periodo dell’anno in cui si inizia a parlare di influenza… la stagione autunno-invernale! E se ne parla non solo tra le file dei supermercati e negli uffici di lavoro, ma anche tra le mura dei nostri allevamenti suini. Nei nostri amici a quattro zampe, le prime segnalazioni di malattie simil-influenzali si sono verificate contemporaneamente sia negli Stati Uniti che in Europa, in concomitanza con la pandemia di influenza umana del 1918. Le analisi genetiche contemporanee hanno confermato che i primi virus suini H1N1, progenitori del lignaggio "classico" H1N1 dei virus dell'influenza suina, e i virus umani del 1918 erano strettamente correlati, entrambi derivati da un virus ancestrale interamente aviario.
I virus dell’influenza si suddividono principalmente in 4 tipi:
Tipo A: infettivo per un'ampia gamma di specie ospiti tra cui gli uccelli, i mammiferi e i pipistrelli;
Tipo B: causa principalmente malattie respiratorie negli esseri umani, sebbene possa anche infettare foche e maiali;
Tipo C: infettivo per l'uomo e per i suini;
Tipo D: isolato per la prima volta da un maiale malato nel 2011, anche se colpisce principalmente i bovini e non è noto che infetti o causi malattie negli esseri umani.
Tra i quattro tipi di virus dell'influenza, solo il tipo A ha un significato clinico di routine nei suini, rappresentando una delle principali cause di focolai di malattie respiratorie acute. L’influenza di tipo A può essere, in realtà, rilevata durante tutto l'anno, ma presenta dei picchi stagionali ed è molto probabile il virus venga introdotto negli allevamenti in seguito alle movimentazioni degli animali. La principale via di trasmissione è rappresentata dal contatto diretto con le secrezioni oro-nasali infette, anche se un’ulteriore fonte di infezione è rappresentata dagli aerosol. Nelle scrofaie il virus è stato rilevato più frequentemente nelle scrofette da rimonta e nei suinetti sottoscrofa rispetto che nelle scrofe. Inoltre, sembrerebbe che il virus possa persistere negli svezzamenti a causa della continua introduzione di suini giovani suscettibili al virus, conseguentemente al calo dei livelli di immunità materna. I tipici focolai di influenza suina sono caratterizzati da febbre alta (40,5–41,5 °C), mancanza di appetito, inattività, riluttanza ad alzarsi, tachipnea e, dopo alcuni giorni, tosse. I segni più caratteristici sono una respirazione addominale faticosa e la dispnea, ovvero un’evidente difficoltà nella respirazione. La malattia ha una comparsa improvvisa, dopo un periodo di incubazione di circa 1-3 giorni, e la morbilità si dimostra essere elevata (fino al 100%), con una mortalità, fortunatamente, molto bassa (di solito inferiore all'1%), a patto che queste siano infezioni non complicate; il recupero è rapido ed inizia 5-7 giorni dopo la comparsa della malattia. I focolai acuti clinicamente tipici sono generalmente limitati a suini sieronegativi (privi di anticorpi per fronteggiare il virus), quindi completamente suscettibili, sia che siano in svezzamento sia che siano all’ingrasso. Oltre allo stato immunitario, anche altri fattori possono influenzare l'esito clinico dell'infezione, inclusi l'età dei soggetti colpiti, la pressione dell'infezione, le condizioni climatiche, l'ambiente e le infezioni concomitanti. Tra queste, le infezioni batteriche secondarie causate da Actinobacillus pleuropneumoniae (APP), Pasteurella multocida, Mycoplasma hyopneumoniae, Haemophilus parasuis o Streptococcus suis (soprattutto di tipo 2) possono aumentare la gravità della malattia clinica; anche altri virus respiratori, come il Coronavirus respiratorio suino e il virus della PRRS, infettano spesso suini della stessa età. Di tutti questi agenti patogeni, l’Influenza di tipo A, la PRRS e M. hyopneumoniae sono più frequentemente rilevati nei suini di età compresa tra 10 e 22 settimane, in associazione con il cosiddetto "Complesso della malattia respiratoria del suino (PRDC)", il quale si presenta come una malattia in forma decisamente più grave rispetto al solo coinvolgimento del virus influenzale. A seguito di un focolaio di influenza in una scrofaia, allevatori e veterinari a volte riferiscono una riduzione delle prestazioni riproduttive, un aumento dell'infertilità, episodi di aborti, nascita di nidiate di piccole dimensioni e un aumento dei nati morti. Tuttavia, esistono pochi dati che suggeriscono che il virus dell'influenza possa agire anche a livello riproduttivo o, in generale, che possa indurre direttamente malattie riproduttive.
A livello necroscopico, gli organi target che devono essere presi in considerazione per ipotizzare una diagnosi di influenza sono i polmoni, che possono presentare delle lesioni lievi, quasi insignificanti, o, al contrario, delle lesioni abbastanza caratteristiche, definite “lesioni a scacchiera”: il quadro è rappresentato da una polmonite virale con una netta linea di demarcazione tra i tessuti polmonari colpiti e quelli normali, dove le aree coinvolte saranno di un colore viola e di una consistenza dura (consolidamento polmonare). Inoltre, può essere evidente un certo edema inter-lobulare, le vie aeree possono essere riempite con essudati fibrinosi color sangue e i linfonodi bronchiali e mediastinici possono risultare ingrossati. La diagnosi certa di influenza, come per tutte le altre malattie, si ottiene comunque solo attraverso gli esami di laboratorio e, solitamente, i campioni più rappresentativi sono costituiti da tamponi nasali, prelevati durante il periodo febbrile della malattia, che devono essere mantenuti in frigo se testati entro 48 ore dalla raccolta, altrimenti devono essere opportunamente congelati. Il virus può anche essere isolato dalla trachea o dai tessuti polmonari dei suini che muoiono durante la fase acuta della malattia, mentre i fluidi orali rappresentano una matrice utile ma non la migliore.
Per prevenire la malattia, il mezzo più efficace è rappresentato dalla vaccinazione dei suini, tramite vaccini inattivati oppure vivi attenuati. La maggior parte dei vaccini sono inattivati e vengono effettuati sulle scrofe come profilassi di gruppo oppure come profilassi singola di richiamo preparto; quest’ultima porta a livelli di anticorpi materni più elevati e più duraturi nei suinetti appena nati, che vengono così protetti dalla forma clinica anche durante la fase di svezzamento. La vaccinazione dei suini in svezzamento viene eseguita meno frequentemente e può essere difficile da combinare con la vaccinazione delle scrofe, dato che l’immunità passiva trasmessa dalla madre con il colostro può interferire con una vaccinazione efficace dei suinetti svezzati. Tuttavia, questa strategia può essere utile negli allevamenti in cui l'influenza riveste un reale e grande problema. Lo scopo di somministrare vaccini inattivati è quella di proteggere i singoli suini dagli effetti clinici del virus dell’influenza, riducendone i titoli a livello polmonare. La somministrazione di vaccini vivi attenuati, invece, risulta essere il metodo migliore per indurre anticorpi a livello della mucosa respiratoria, in modo da prevenire o ridurre la trasmissione nella popolazione e proteggere i suini in accrescimento. Inoltre, è stato dimostrato che l'interferenza degli anticorpi materni è meno pronunciata quando si usano vaccini vivi attenuati, quindi questa soluzione potrebbe essere utilizzata con successo anche nei suinetti prima dello svezzamento.