Gli interlocutori sono i produttori di mangimi, tanto dei mangimifici industriali, quanto degli allevamenti che acquistano in proprio le materie prime di largo impiego e le miscelano con mangimi complementari ristretti al 2-3% (contenenti i minerali e le vitamine). Mangimificio e allevamenti si confondono poi quando governano in proprio anche le materie prime macrominerali (calcio carbonato, fosfato bicalcico e cloruro di sodio) e ricorrono all’industria soltanto per la premiscela vitaminica e oligominerale da impiegarsi allo 0,3-0,5%. Insomma, anche nello spirito della completa autonomia, un minimo rapporto con l’industria delle premiscele deve essere mantenuto.

Un rapporto obbligato perché il manganese, lo zinco, la vitamina B1 e così via, sono nutrienti indispensabili e come tali devono essere apportati alla pari degli aminoacidi e dell’energia. La guida nutrizionale sarà d’ausilio nello stabilire i tenori minimi, quindi si valuterà l’opportunità di un margine di sicurezza proporzionato alle condizioni d’allevamento più o meno stressanti e a quel punto resta l’acquisto.

Ma proprio l’acquisto è l’operazione più delicata di tutto il processo decisionale e per almeno due motivi. Primo: pur riconoscendo molti di questi prodotti come analiticamente ineccepibili alla consegna, dobbiamo considerare pure la loro instabilità (alla luce, al calore, o alla sola conservazione nel tempo) e quindi la loro ridotta disponibilità per l’animale. Un fenomeno particolarmente pronunciato per alcune vitamine. Secondo: gli additivi componenti la premiscela o il mangime complementare molto ristretto sono sostanze ad altissimo rischio sanitario. E non per cause di poco conto, ma per pericoli subdoli la cui gravità si estende fino al consumatore finale della derrata zootecnica: metalli pesanti, diossina e PCB. Certo, un piano di controllo serrato è in grado di riconoscere una cava di calcio carbonato a basso titolo di piombo, un fosfato inappuntabile per le presenze di cadmio e fluoro, uno zinco ossido ancora a basso titolo di piombo e così via. Ma la questione si complica terribilmente discutendo di diossina e PCB per una ragione formidabile: il costo dell’analisi. Infatti, se con 30 euro esaminiamo un metallo pesante in uno qualsiasi dei prodotti citati, per la diossina e PCB occorrono circa 600 euro.

E a questo punto sarà bene esporre i termini del problema. Considerando soltanto le segnalazioni ufficiali riportate dal RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed) a far data dal 2002, registriamo ben 41 superamenti dei limiti massimi di diossina tollerati per gli additivi d’interesse zootecnico. Più in dettaglio, almeno 30 di queste segnalazioni hanno coinvolto sostanze impiegate abitualmente anche nei mangimi per suini (vedi tabelle 1 e 2).

Tabella 1: materie prime minerali con titoli in diossina eccedenti le soglie massime tollerate (sistema RASFF)
Addittivo Casi, nr. Media, pg/g D.S. C.V. Val. max pg/g
Calcio iodato 2 1,78 --- --- 2,19
Ferro carbonato 1 11,18* --- --- 11,18
Rame carbonato 1 18,28 --- --- 18,28
Rame ossido 4 5,72 5,75 100,45 14,30
Rame solfato 9 28,50 69,26 243,02 211,95
Sodio bicarbonato 1 11,00 --- --- 11,00
Zinco ossido 7 40,13 78,89 196,58 218,27
Zolfo 1 21,80 --- --- 21,8
  * PCB non diossina simili

 

Tabella 2: vitamine e altri additivi con titoli in diossina eccedenti le soglie massime tollerate (sistema RASFF)
Addittivo Casi, nr. Media, pg/g D.S. C.V. Val. max pg/g
Vitamina A 1 32,70 --- --- 32,70
Vitamina E 1 7,70 --- --- 7,70
Vitamina B2 1 5,15 --- --- 5,15
Colina cloruro 1 1,42 --- -- 1,42
Glicina 1 4,98 --- --- 4,98
Pigmentanti 9 8,99 18,43 205,00 58,00
Sali biliari 1 0,96 --- --- 0,96

 

Così, quasi la metà dei componenti la premiscela è a rischio diossina e l’analisi di un solo campione costa 600 euro. Stando così le cose, c’è qualcuno che pensa di poter discriminare per via analitica i fornitori dei microingredienti, oppure bisogna affidarsi anche a qualche altro sistema? Il mangimista e l’allevatore comprano generalmente una premiscela di vitamine e oligoelementi formulata per soddisfare i fabbisogni di un animale in una certa fase produttiva. Adesso però sappiamo che quella premiscela è a rischio diossina per almeno 10 componenti e dunque dovremmo essere rassicurati dal fornitore sulla sua liceità, ma non a chiacchiere. Pretenderemo quindi di conoscere il piano dei controlli diossina (oltre al resto) e possibilmente di essere confortati anche da qualche certificato analitico recente sugli additivi a maggior rischio (almeno zinco ossido e rame solfato).

Ricevuta tutta quella documentazione, dovremmo sentirci più tranquilli, ma non è proprio così. Ed ecco perché: il nostro abituale fornitore di premiscele lavora in un piccolo capannone, acquista le materie prime sul mercato mondiale e serve il mercato locale. Si tratta di un piccolo produttore (il fatturato a bilancio lo dimostra) e dunque acquista piccoli lotti di materie prime, ma su quei lotti dovrebbe eseguire anche le costosissime analisi della diossina. A volte il costo dell’analisi potrebbe essere prossimo addirittura a quello di acquisto del lotto stesso. Insomma, c’è qualche probabilità che l’acquirente di un pallet di zinco ossido non lo esamini affatto. Certo è che se quel lotto non avesse avuto la consistenza di un pallet, ma quella della stiva di una nave, la storia sarebbe cambiata e il costo di un esame non sarebbe stato proibitivo. Morale: il piccolo produttore, a differenza del grande, è condizionato terribilmente dal costo smodato di un piano di controllo efficace. Certo, servirsi del grande produttore non è ancora certezza di sanità del prodotto, ma almeno sappiamo che per lui quei controlli sarebbero economicamente sostenibili. E poi bisogna almeno meditare sul fatto che il personale addetto al controllo qualità di un grande gruppo potrebbe essere più aggiornato di quello di una piccola azienda e che la rete commerciale di una multinazionale conosce bene anche i mercati emergenti (in Cina e India, come in qualsiasi altro Paese, c’è chi lavora male e c’è chi lavora bene, basta conoscere gli uni e gli altri!). Detta in altre parole, in questo mestiere, piccolo non è sempre bello. E qui allevatore e mangimista sono sulla stessa barca: dovrebbero pretendere fornitori di premiscele almeno di stazza industriale.

Il rischio sarebbe quello di trovarsi coinvolti in una procedura d’allerta per diossina: un’esperienza terribile con ripercussioni economiche disastrose. E in proposito non si pensi che il controllo analitico della premiscela sia di qualche utilità. Insomma, anche spendendo i 600 euro, l’esito favorevole dell’analisi non ci tutelerebbe ancora. Sembra un paradosso, ma non lo è. Infatti ci si ritrova a pieno titolo in procedura d’allerta non per la nostra premiscela, ma per un suo componente (per esempio lo zinco ossido) appartenente a un lotto esaminato in uno qualsiasi dei 27 membri UE e riconosciuto eccedente i limiti tollerati. Quando però quello zinco ossido viene diluito con tutti gli altri componenti della premiscela, l’insieme rientra nei ranghi e nelle tolleranze di legge. Così chi acquista e controlla la premiscela, pur a fronte dell’esito analitico rassicurante, si ritrova coinvolto nella procedura d’allerta. Detta brutalmente: siamo impotenti e i nostri controlli risultano inutili. Ci troviamo dunque in balia del sistema assicurazione qualità del fornitore. E ora possiamo anche scegliere con chi affondare (pardon!) navigare.

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