Noi abbiamo scelto e stiamo dalla parte degli additivi autorizzati, senza tentennamenti. Spiace ammetterlo: non siamo capaci di qualificare un prodotto spacciato come additivo per proprietà e prezzo, ma etichettato come mangime complementare. L’additivo travestito ci coglie dunque impreparati tanto nella valutazione della sua sicurezza, quanto della sua efficacia. Di conseguenza siamo disposti a pagare un po’ di più, ma pretendiamo un prodotto esaminato da istituti indipendenti e autorizzato da una commissione di esperti.

La nostra scelta di campo comunque, per quanto risoluta, è soltanto l’inizio di un lungo e malfermo procedimento. In pratica dovremmo stabilire, fra le centinaia di alternative, il miglior additivo autorizzato utilizzabile nelle nostre condizioni, ovvero quello capace di risolvere, o alleviare, situazioni insoddisfacenti, oppure migliorare le prestazioni zootecniche. Detta così non parrebbe poi un’impresa tanto complicata: basterebbe provare e proprio a casa nostra. A quel punto non avremmo più dubbi: l’efficacia dell’additivo sarà proporzionale al miglioramento degli indici zootecnici, o sanitari nel nostro allevamento.

Certo, anche le prove aziendali condotte razionalmente sono onerose, soprattutto per l’impegno di manodopera, però i risultati diventano preziosi e addirittura impareggiabili, viste le condizioni in cui sono stati realizzati. E allora, individuata una rosa di candidati, non resterebbe che iniziare. Se fossimo interessati al miglioramento di un qualche indice zootecnico nel ciclo d’ingrasso dovremmo costituire due gruppi e formulare altrettante diete: una testimone e una sperimentale contenente il prodotto oggetto d’indagine (ovvero l’unica variabile) e procedere. Certo è che il mangime più bisognoso d’interventi correttivi non è quello dell’ingrasso, ma quello del periodo post-svezzamento. Infatti, proprio in quella fase così delicata potrebbero emergere i benefici vantati dalle diverse categorie di additivi, dai nutrizionali agli zootecnici, dai tecnologici agli organolettici. Non solo, l’efficacia degli additivi, certamente amplificata nelle condizioni difficili del post-svezzamento, potrà giungere a vette tali da renderne conveniente, o molto conveniente, l’uso. Un traguardo il cui raggiungimento risulterà certamente più ambizioso nella fase d’ingrasso. Insomma, il terreno ideale dell’additivo è la sala svezzamento. Esaminiamone dunque circostanze e dettagli.

Il manuale e la guida di alimentazione non affrontano il tema e di dubbi non ne sollevano, ma l’esperienza di porcilaia è un’altra storia. Ebbene, dobbiamo pianificare una prova in svezzamento e intendiamo misurare il miglioramento prodotto da un additivo, o stabilire le differenze indotte da due additivi in una prova di campo (il nostro campo). Così costituiamo i gruppi e formuliamo le diete, ma in proposito abbiamo ben due opportunità: utilizzare i mangimi base impiegati normalmente nel nostro allevamento, oppure mangimi a misura di prova. Nel primo caso si tratta di diete complesse (con l’utilizzo di materie prime aristocratiche quali il plasma suino essiccato e i sottoprodotti del latte), già traboccanti di additivi (probabilmente acidificanti ed enzimi, forse probiotici, prebiotici e oli essenziali), ma soprattutto medicate (almeno nelle prime due settimane seguenti lo svezzamento). Orbene, con quelle diete così sofisticate e quella protezione tanto estesa è ben poco probabile che la nostra unica variabile in prova (per esempio un dolcificante) possa modificare alcunché di misurabile o comunque percettibile oggettivamente. Detta in altre parole, gli effetti massicci esercitati da tutte le sostanze attive già presenti nelle diete di base mascherano l’eventuale contributo derivante dalla variabile in prova. Ma se così è, dobbiamo concludere che non è possibile verificare il contributo di un additivo quando viene incluso nelle comuni diete commerciali per suinetti. Resta però la seconda opportunità, ovvero quella del mangime confezionato proprio al fine della prova di campo. Dunque un mangime non medicato e spogliato di buona parte degli additivi zootecnici e nutrizionali, insomma un presidio molto meno protetto e discreto a tal punto da lasciare emergere in termini significativi l’eventuale effetto dell’additivo oggetto di prova. E così procediamo, ma ben presto ci rendiamo conto che il nostro allevamento non è uno stabulario universitario e che la mancanza dell’ombrello protettivo produce perdite enormi, vuoi per il declino delle prestazioni, vuoi per l’impennata del tasso di mortalità. Insomma, un esito scoraggiante per i danni, ma nemmeno interessante per il nostro fine, visto che a quel punto non riconosciamo più quelle condizioni come nostre. Non ci riconosciamo infatti in un tasso di mortalità prossimo al 10% e in un tasso di crescita del 25% inferiore a quello medio realizzato negli ultimi anni. Insomma, sapere che l’additivo in prova funziona in quelle condizioni disperate non serve un granché. Si esamini in proposito il dettaglio della sperimentazione riportata in tabella (A. Piva e coll., 2007; Livestock Science, 108: 214-217).

  NON MEDICATI MEDICATI
Mangimi Acidi formico/lattico Miscela acidi protetti Acidi formico/lattico Miscela acidi protetti
Peso iniziale (giorno 1), kg 5,9 6,0 5,4 6,1
Peso giorno 21, kg 10,5 a 11,2 ab 12,4 b 11,6 ab
Peso finale, (giorno 49), kg 20,9 a 21,6 a 26,8 b 25,7 b
Ingestione media giorni 1-21, g 300,7 a 329,3 a 353,4 b 361,6 b
Ingestione med. giorni 22-49, g 601,5 a 615,7 a 768,1 b 796,0 b
Ingestione media giorni 1-49, g 471,4 a 496,1 b 587,0 c 606,9 c
A.M.G. giorni 1-21, g 213,7 a 242,8 ab 296,3 b 259,6 ab
A.M.G. giorni 22-49, g 370,7 a 371,1 a 516,4 b 506,7 b
A.M.G. giorni 22-49, gA.M.G. giorni 1-49, g 300,7 a 316,0 a 421,6 b 396,6 b
I.D.C.A giorni 1-49 1,55 b 1,53 b 1,48 a 1,49 b
Mortalità, % 8,3 10,0 0,0 2,5
a,b,c: lettere diverse sulla stessa riga indicano variazioni statisticamente significative per P <0,05

 

Qui lo scopo era la comparazione di una miscela di acidi organici liberi con una di acidi organici protetti nel periodo post-svezzamento. Ma le differenze sono emerse in termini statisticamente significativi fra le tesi medicate e non medicate, piuttosto che fra additivi diversi. Il tasso di crescita, per esempio, è stato del 32% maggiore nei gruppi trattati con mangimi medicati, mentre il tasso di mortalità, da un inquietante 8-10% delle tesi non medicate, è stato contenuto al 2%. Insomma, con i mangimi medicati non abbiamo l’opportunità di apprezzare l’eventuale effetto esercitato dall’additivo, mentre con i mangimi non medicati diamo origine a una condizione disastrosa e tutt’altro che rappresentativa del nostro allevamento. Con le prove aziendali dunque percorriamo una strada che non porterà da nessuna parte. Una sorta di principio d’indeterminazione. Se intendiamo comunque qualificare un additivo dovremo avvalerci di altri strumenti.

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