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Suinicoltura + Suinicultura

I meteorologi sono certi dell’aumento progressivo delle temperature medie del pianeta e così anche la nostra estate sarà sempre più calda. Il fatto ci preoccupa: per quest’anno potremmo anche sperare in una condizione locale migliore rispetto alla media mondiale, ma nel lungo periodo sappiamo cosa ci aspetta. Però c’è dell’altro, visto che anche ipotizzando un improbabile fermo del processo di riscaldamento globale, le ripercussioni del caldo sulla zootecnia saranno comunque più gravi, anno dopo anno. Per quanto strambo possa sembrare infatti, il suino del 2013 sopportava meglio il caldo di quello del 2014. Il maiale corrente dunque è più intollerante al caldo di quello dello scorso anno e possiamo star certi che l’anno prossimo sarà anche peggio. Ed ecco il perché.

Il miglioramento genetico è incontenibile e le prestazioni migliorano progressivamente. Prendiamola larga ed esaminiamo per esempio i fabbisogni di mantenimento in lisina digeribile stabiliti sperimentalmente (tabella 1).

Tabella 1: Fabbisogno di mantenimento in lisina digeribile standardizzata secondo diverse fonti
36 mg/kg peso metabolico (PV0,75) Fuller e coll., 1989
39 mg/kg peso metabolico (PV0,75) Heger e coll., 2002
71 mg/kg peso metabolico (PV0,75) Ringel e Susenbeth, 2009

 

Paiono dati inconciliabili: gli scarti sono prossimi al 100% (ovvero, un maiale di 150 kg ha un fabbisogno di 1.5, oppure di 3 g/giorno a seconda della fonte). Eppure quei dati riflettono soltanto l’evoluzione del suino negli ultimi vent’anni. Di fatto, l’aumento del tasso di deposizione proteica e la maggiore proporzione del tessuto muscolare rispetto all’adiposo, producono quelle differenze. E questo perché l’attività metabolica e il ricambio cellulare del muscolo sono ben maggiori rispetto a quelle del grasso. Insomma, il fabbisogno di mantenimento in lisina aumenta nel tempo in stretta relazione all’aumento del rapporto fra proteina e grasso deposti, ovvero alla magrezza dell’animale. Se poi aggiungiamo la modesta efficienza energetica della deposizione proteica, sempre rispetto a quella lipidica, lo scenario si complica ancora. E’ vero che l’energia grezza intrinseca della proteina e del grasso corporeo divergono a favore del grasso: 5,6 e 9,5 calorie per grammo rispettivamente. Ma questi valori non includono il costo energetico per l’acquisizione dell’incremento, ovvero non considerano l’efficienza della deposizione. Ebbene, il processo di sintesi di un grammo di proteina è molto più oneroso in termini energetici della sintesi di un grammo di grasso: efficienza rispettivamente del 50 e dell’80%. Così, alla fine della storia deporre proteina e deporre grasso si conclude con una patta energetica (meno calorie costitutive, ma maggiore dispendio nella sintesi proteica). La bassa efficienza di deposizione proteica però è tale a causa delle perdite di calore; un calore metabolico utile in inverno per resistere alle basse temperature, ma difficile da espellere in estate. Insomma un suino magro è un suino ad attività metabolica basale maggiorata e con una maggiore quantità di calore metabolico da disperdere per la maggiore intensità delle sintesi proteiche, rispetto ad un suino grasso. Detta in altre parole: un suino magro è meno tollerante al caldo di un suino grasso e reagirà inasprendo la reazione. Quale reazione?

Un suino esposto al caldo riduce l’ingestione e la crescita: lo dice l’allevatore. Poi un suino esposto al caldo per un lungo tempo diventa anche più grasso: lo dice il macellatore. La riduzione dell’ingestione, diminuendo in misura proporzionale la quantità di calore metabolico prodotta è una reazione efficace. Ma poi la riduzione dell’ingestione causa un maggior deposito adiposo. E noi invece, da quella sorta di razionamento indotto dal caldo, avremmo pronosticato un minor deposito di grasso. Ma allora perché la riduzione dell’ingestione causata dall’alta temperatura produce conseguenze opposte alla riduzione dell’ingestione imposta dall’allevatore? Chi ha studiato il fatto lo spiega con le derive metaboliche opposte espresse dai suini mantenuti in condizioni di neutralità termica e alta temperatura.

Gli animali esposti al caldo infatti denunciano titoli d’insulina doppi rispetto ai suini di pari peso, razionati allo stesso livello d’ingestione e mantenuti in condizioni di benessere termico. Eppure lo stress patito dagli animali esposti al caldo è certo e misurabile. Si tratta di animali in stato catabolico e questa condizione è ben espressa dagli alti titoli di epinefrina e cortisolo. Ma proprio cortisolo ed epinefrina dovrebbero inibire la secrezione pancreatica d’insulina, o almeno così accade nel suino razionato severamente in condizioni di neutralità termica. Perché ciò non avvenga resta un mistero, ma sappiamo che sono proprio quegli alti titoli d’insulina a condizionare il metabolismo degli animali esposti al caldo.

L’insulina infatti inibisce la lipolisi e di conseguenza gli acidi grassi non esterificati plasmatici si mantengono a livelli molto bassi, mentre aumentano i titoli ematici di un’altra sostanza d’origine metabolica: la metil-istidina. Questo indicatore è di grande interesse perché deriva dalla degradazione della proteina del muscolo scheletrico e il suo aumento denuncia questa pronunciata attività catabolica.

Riassumendo, l’animale esposto al caldo mostra una forte azione conservativa sul grasso e di marcato catabolismo sul muscolo. Insomma, esattamente l’opposto di quanto capita nel suino razionato forzatamente e mantenuto in condizioni di neutralità termica: azione conservativa sul muscolo e catabolica sul grasso. Restano ampie zone d’ombra, ma ora sappiamo quali sono gli stati metabolici che condizionano, a parità d’ingestione, una carcassa grassa e una carcassa magra al solo variare della temperatura ambientale.

Chiarite le ragioni delle differenze in composizione della carcassa, resterebbero altre incognite sulle prestazioni in allevamento e sulla condizioni di benessere, o malessere, indotte dal caldo e dal razionamento forzoso. Sarà materia della prossima puntata.
 

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