Siamo riconoscenti a tutti coloro che preservano la tradizione. Di fatto, le tradizioni sono cultura e coloro che le custodiscono sono a tutti gli effetti dei benemeriti operatori culturali. Insomma, i Consorzi dei Prosciutti Tipici tutelano patrimoni inestimabili e irripetibili alla pari delle Soprintendenze per i Beni Architettonici e Paesaggistici. Tanto è vero che la nostra e le prossime generazioni esprimeranno gratitudine tanto ai primi, quanto ai secondi. E su questo preambolo non si transige.

Quando la tradizione costituisce attività economica tuttavia, la questione si complica un po’. Per esempio i sistemi e le consuetudini di lavoro agli esordi della rivoluzione industriale devono restare memoria collettiva, ma non possono essere riproposti perché il loro impatto sociale, ambientale, o sanitario risulterebbe inaccettabile. Le centrali a carbone, il lavoro minorile e i materiali in amianto, tanto per citare tre esempi, non suscitano proprio alcun rimpianto. Dunque anche la salvaguardia della tradizione, sempre encomiabile, non può esimersi dal reiterare offese all’uomo, all’animale e all’ambiente. Poi, come capita spesso, all’unanimità sui principi generali fanno seguito i distinguo nei particolari. Ma di quei particolari bisogna discutere.

Fra le altre cosette, alla zootecnia si rinfaccia il prepotente impatto ambientale. Una straordinaria concentrazione di nutrienti in aree ristrette dovuta allo spargimento smodato di materiale organico causa a sua volta di contaminazioni delle acque di falda e dell’arricchimento di quelle superficiali in fosforo e azoto. E pure di accumulo di oligoelementi quali zinco e rame responsabili, alla lunga, della sterilità dei terreni. Tutto vero, ma è anche vero che negli ultimi 20-30 anni è stato realizzato un miglioramento formidabile, vuoi per le norme più restrittive, vuoi per i successi della ricerca nella definizione puntuale dei fabbisogni e nella messa a punto di additivi miglioratori dell’efficienza alimentare.

Le sostanze minerali preoccupano dunque per l’impatto ambientale, ma anche per l’apporto di sostanze tossiche indesiderate, metalli pesanti in particolare. Diciamola schietta: i fosfati e il carbonato di calcio sono le materie prime più sporche del mangimificio. Giusto per familiarizzare con questi apporti indesiderati diventa interessante esaminare le tolleranze massime di contaminanti previsti dalla normativa comunitaria (vedi tabella 1). La riduzione del fosforo dietetico (a spese dei fosfati minerali) dunque non solo contribuirà ad attenuare l’eutrofizzazione delle acque, ma promuoverà la salubrità della dieta animale e in definitiva anche dell’uomo.
 

Tabella 1: tenori massimi di alcune sostanze indesiderate nelle materie prime per mangimi
Sostanze indesiderate Materie prime per mangimi Massimi tollerati, ppm Normativa

Arsenico
Materie prime in genere 2
Reg. UE 1275/2013
Fosfati 10
Carbonato di calcio 15

Cadmio
Materie prime vegetali 1
Reg. UE 1275/2013
Fosfati 10
Fluoro Materie prime in genere 150
Reg. UE 744/2012
Fosfati 2000
Piombo Materie prime in genere 10 Reg. UE 1275/2013
Fosfati 15
Carbonato di calcio 20
Mercurio Materie prime in genere 0,1
Reg. UE 744/2012
Carbonato di calcio 0,3

 

Orbene, la Commissione Europea ha prodotto lo scorso anno una ricca documentazione sull’uso sostenibile del fosforo e, pur costatando i progressi significativi realizzati con l’adozione delle diete a fasi e l’uso dell’enzima fitasi, lamenta l’impiego non sistematico di questi strumenti. Insomma, l’esortazione è di utilizzare la fitasi in tutti i mangimi destinati ai suini e alle specie avicole.

Poi, diciamolo sottovoce, l’uso della fitasi è anche estremamente conveniente. Alla breve: la fitasi è l’enzima specifico idoneo a rompere i legami fra fosforo e acido fitico (complesso organico costituente la riserva primaria di fosforo dei vegetali). Dunque l’uso di fitasi riduce significativamente l’apporto di fosfati, il quantitativo complessivo di fosforo dietetico e in definitiva l’impatto ambientale del liquame. I fitati inoltre sono molecole polari caricate negativamente e quindi capaci di legare cationi quali Ca2+, Mg2+ e Zn2+ (nell’ordine, calcio, magnesio e zinco). Così l’uso della fitasi permette di ridurre pure l’impiego di questi macro e microelementi. E lo zinco si configura ormai come un contaminante ambientale alla pari del fosforo, sebbene per ragioni diverse. Resta il fatto che l’impiego sistematico di fitasi consentirebbe di ridurre gli apporti di zinco di 27-35 mg/kg (a seconda delle fonti). Un beneficio significativo soprattutto per quei paesi a vocazione suinicola che hanno autorizzato lo zinco ossido a dosaggio terapeutico in svezzamento (Italia in primis).

Ricapitolando: l’impiego di fitasi riduce significativamente l’impatto ambientale del fosforo e dello zinco, riduce sostanzialmente i titoli di sostanze indesiderate della dieta suina veicolate dai fosfati minerali e dal calcio carbonato (benefici per la salute del suino e per quella del consumatore), riduce il costo del mangime e riduce pure il titolo di ceneri del mangime (ulteriore beneficio sul costo della formula per l’eliminazione del materiale inorganico inerte e l’opportunità di sfruttare quello spazio disponibile con ingredienti meno concentrati). E potremmo anche chiuderla qui.

Invece non è ancora finita. E il perché è dovuto al fatto che quella riduzione provvidenziale delle ceneri infrange la prescrizione dei disciplinari delle DOP Prosciutto di Parma, San Daniele, Modena e Veneto BE. Come? Non rientrando nel campo di ammissibilità della composizione delle razioni, ossia dei parametri chimici di cartellino (vedi tabella 2).
 

Tabella 2: campo di ammissibilità di composizione delle razioni (fonte: Piano di Controllo Prosciutto di Parma, Ed.2 Rev. 0, Pag.23, Istituto Parma Qualità, 27/09/2012). Dati espressi sulla sostanza secca
Composizione, %
Fase 1 (fino 80 kg di peso vivo)

Fase 2 (ingrasso)
  Minimo Massimo Minimo Massimo
Fibra grezza 3 10 3 8
Grassi 3 7 3 6
Proteina grezza 14 20 12 18
Ceneri 5 9 4 8
Amido >25 >30
Acido linoleico <=2%

 

Insomma, l’uso della fitasi, sostituendo parte delle materie prime minerali, cozza con le prescrizioni delle DOP e non permette di raggiungere i minimi del 5 e del 4% di ceneri sulla sostanza secca rispettivamente nelle fasi magronaggio e finissaggio. Certo, quelle prescrizioni sono nate in altri tempi, le fitasi commerciali non esistevano e nessuno dibatteva d’impatto ambientale. Oggi però il contrasto fra normative ambientali e prescrizioni dei disciplinari è stridente. E qui scorgiamo ampi margini di miglioramento. Siamo sempre quelli consacrati alle tradizioni, si capisce, ma non proviamo nostalgia alcuna per le tradizionali coperture in cemento-amianto.

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