Siamo ancora quelli del partito degli additivi autorizzati, quelli della scelta di campo netta. Di fatto, la nostra intransigenza è tale da indurci a detestare gli additivi travestiti, ossia quelli etichettati come mangimi complementari, ma reclamizzati come sostanze attive. E sulle questioni di principio non molliamo.
Le nostre certezze però (e anche un po’ di spavalderia) vengono meno quando dobbiamo scegliere fra la miriade di additivi autorizzati. E in particolare quando la scelta riguarda l’additivo del mangime svezzamento, ossia quello del momento più critico di tutta la vita dell’animale, dunque anche quello in cui il supporto dell’additivo sarebbe prezioso. Anche la prova pratica aziendale, lo si è visto, non è risolutiva e proprio per gli attributi di quel mangime. Infatti si tratta di un mangime costituito da materie prime nobili, contenente già diversi additivi e quasi sempre medicato, ovvero un mangime talmente sofisticato in grado di mascherare l’effetto di ulteriori aggiunte di sostanze attive. Per contro, spogliare il mangime di quelle protezioni comporta l’impennata della mortalità e la caduta delle prestazioni, dunque una condizione né rappresentativa, né sopportabile. E allora?
Vista l’inconcludenza delle prove aziendali resta una sola alternativa: valutare l’efficacia di uno o più additivi sulla scorta dei risultati delle sperimentazioni pubblicate. Una ricerca senz’altro laboriosa, ma i cui esiti paiono lusinghieri. Bene, il primo adempimento sarà la ricerca di un indice capace di esprimere le differenze di efficacia degli additivi in termini oggettivi. E in proposito, tutti gli indici idonei al rilevamento del comportamento alimentare, alla capacità di resistenza dell’animale, oppure la sua competenza digestiva e l’integrità anatomica sono di ausilio per l’operatore. Ecco allora che il tasso d’ingestione, l’indice di conversione alimentare, il punteggio di qualità delle feci, la misura dell’attività enzimatica, i titoli di proteine della fase infiammatoria acuta, le prevalenze batteriche intestinali, lo spessore della mucosa, l’altezza dei villi e la profondità delle cripte, diventano strumenti utili. Insomma, gli indici sono tanti, addirittura troppi, e non sempre di facile determinazione. Occorrerebbe invece un solo sistema di misura che riassumesse le prerogative di tutti gli indici discussi e il cui andamento riflettesse fedelmente l’anatomia, la fisiologia e la capacità di reagire dell’animale. Ebbene, quel super indice esiste: è il tasso di crescita. Si tratta di un indice di riferimento univoco, perché alla lunga, tutti gli altri indici elencati si rifletteranno sull’accrescimento. Insomma, il tasso di crescita è la risultante di tutte le variabili anatomiche, fisiologiche e comportamentali citate.
Individuato l’indicatore bisogna procedere alla raccolta dati: ovviamente esiti di prove realizzate da istituti indipendenti e pubblicate su riviste scientifiche (quelle assistite da comitati di esperti a cui spetta la valutazione preliminare della congruenza fra piano sperimentale, modello statistico utilizzato e scopi della ricerca). Al termine dovremmo essere in grado di compilare una tabella simile a quella redatta con la raccolta degli effetti esercitati dall’acido formico nelle diete svezzamento (vedi tabella 1). In quell’esempio c’è un riferimento agli autori e quindi nell’ordine: tasso d’inclusione, peso vivo dei suinetti in prova, AMG realizzato, differenza in % fra AMG della tesi con acido formico rispetto alla tesi controllo ed eventuale significatività statistica di quella differenza. Quei dati poi potrebbero essere manipolati al fine di ricavarne indicazioni d’impiego più dettagliate. Procedendo con l’esempio dell’acido formico deduciamo la percentuale di prove il cui esito ha prodotto differenze significative: oltre il 30% (8 su 23 in totale). Rileviamo un tasso d’inclusione compreso fra 0,2 e 2,4% (media dello 0,97%) e un miglioramento del tasso di crescita medio del 9,32%. Se raggruppassimo le 23 prove in relazione alla percentuale d’inclusione dell’acido formico, otterremmo il prospetto di tabella 2. E qui scopriremmo che l’efficacia di questo additivo aumenta con la percentuale d’inclusione fino ad un massimo dell’1,5% circa, per poi precipitare a inclusioni superiori. Insomma, otterremmo informazioni preziose sull’impiego e sulle probabili ripercussioni.
Tabella 1: effetti dell’acido formico sul tasso di crescita di suinetti svezzati secondo diverse fonti.
Fonte |
Inclusione, % |
Peso vivo, kg |
A.M.G., g |
Differ. in % su controllo |
P |
Bolduan e coll., 1988 |
0,35 |
9-21 |
349 |
+27,0 |
<0,05 |
1,2 |
9-21 |
312 |
+13,0 |
NS |
Eckel e coll., 1992 |
0,6 |
6,1 – 25 |
463 |
+21,8 |
<0,05 |
1,2 |
6,1 – 25 |
468 |
+22,1 |
<0,05 |
1,8 |
6,1 – 25 |
401 |
+4,6 |
NS |
2,4 |
6,1 – 25 |
325 |
-15,1 |
NS |
Eidelsburger e coll., 1992 |
1,2 |
6 - 25 |
450 |
+7,0 |
NS |
Jongbloed e Jongbloed, 1996 |
0,8 |
22 – 47 |
739 |
+7,0 |
NS |
1,6 |
22 – 47 |
795 |
+15,0 |
NS |
0,8 |
22 – 47 |
828 |
+7,0 |
NS |
1,6 |
22 – 47 |
944 |
+22,0 |
NS |
Jongbloed e coll., 2000 |
0,53 – 1,14 |
22 |
758 |
+ 9,70 |
<0,05 |
0,52 – 1,13 |
22 |
874 |
+ 13,2 |
<0,05 |
Borysenko e coll., 2001 |
0,65 |
4,71 |
133 |
-0,3 |
NS |
Tsiloyiannis e coll., 2001
|
1,2 |
6,7 – 9,2 |
175 |
+16,7 |
<0,05 |
1,2 |
9,2 – 13,5 |
324 |
+11,0 |
<0,05 |
Maribo, 2001
|
0,7 |
8,0 |
247 |
-4,2 |
NS |
0,7 |
11,5 |
590 |
-4,1 |
NS |
Partanen e coll., 2002 |
0,64 |
10-20 |
373 |
-4,1 |
NS |
Manzanilla e coll., 2004 |
0,5 |
11-20 |
417 |
-7,7 |
NS |
Miller e coll., 2005 |
0,6 |
8,2 – 13,7 |
302 |
+33,0 |
<0,05 |
Carroll e coll., 2006 |
0,6 |
7,9 – 11,8 |
222 |
+2,3 |
NS |
Kil e coll., 2006 |
0,2 |
7,25 |
288 |
-1,0 |
NS |
Tabella 2: effetti dell’inclusione di acido formico nelle diete svezzamento sul tasso di crescita
N. Prove |
Inclusione % |
Effetto medio, % |
14 |
0,2 - 1 |
+ 8,44 |
8 |
1,01- 1,8 |
+ 13,93 |
1 |
> 1,8 |
- 15,1 |
Se quanto è stato eseguito per l’acido formico, lo rifacessimo poi per l’acido lattico, o un probiotico, oppure un olio essenziale, potremmo addirittura comparare questi additivi e redigere una classifica in termini di efficacia. Bene, siamo riusciti dove le prove aziendali, le nostre prove di campo, hanno fallito: l’esame della bibliografia ci ha permesso di valutare e comparare più additivi fra loro. Il nostro scopo è stato raggiunto.
E invece tanto compiacimento è un po’ fuori luogo. I risultati dell’indagine bibliografica infatti non sono poi così attendibili. E il perché lo si deve al fatto che gli studi pubblicati sono soltanto una parte degli studi realizzati. Capita spesso infatti che il committente (in genere il produttore dell’additivo), a fronte di un esito insoddisfacente della prova sperimentale, chieda all’istituto esecutore di non pubblicare alcunché. E così col tempo la bibliografia accumula soltanto gli studi favorevoli ai prodotti esaminati.
Orbene, quelle omissioni rappresentano un modo lecito di sofisticazione dei dati. E così la nostra valutazione, quella espressa numericamente, ne sarà viziata. Sono situazioni di fronte alle quali siamo impotenti, d’accordo, ma è bene sapere che quelle condizioni esistono. Poi, in privato, ognuno di noi applicherà la tara ritenuta opportuna, caso per caso.