…VISTO ED ELABORATO PER VOI DALLE JRP 2012… (by Mario Gherpelli)
Dalle Journées de la Recherche Porcine (Giornate della Ricerca Suina – JRP), 44a edizione: "La produzione di suini in Olanda: comprendere il ritorno alla crescita" - Roguet C., Rieu M. (IFIP- Institut du Porc)

Introduzione

In Olanda, la produzione suina ha conosciuto una crescita molto rapida negli anni ‘60-‘80 del 1900. Poi, negli anni ‘90, si è stabilizzata in seguito alle prime misure di controllo ambientale. Nel 1997, lo scoppio della peste suina ha determinato una brutale caduta dei capi allevati, fino al 2003. Da quell’anno, il capitale suino ha cominciato una netta risalita, stimata in un +13% di media annua per i successivi 7 anni.
Questo studio vuole analizzare e tentare di capire come l’Olanda abbia potuto riprendere a crescere in questo settore nonostante il controllo ambientale sia rimasto un punto fermo dell’azione governativa. Teniamo a precisare che il quadro tracciato non si basa solo sull’analisi dei dati disponibili, ma anche su numerosi colloqui con i responsabili politici ed economici direttamente interessati.

La "megamorfosi" negli allevamenti suini

Nel 2010, l’Olanda contava 12,2 milioni di suini, concentrati nel sud e nell’est del paese. Su un totale di circa 7.000 allevamenti, 4.680 erano specializzati (unica specie allevata) e contribuivano per il 90% dei capi allevati (2.350 capi/azienda in media).

Dei circa 23 milioni di suini prodotti ne viene esportato il 45%: 6,35 milioni di suinetti (soprattutto verso la Germania e l’Europa dell’Est) e 4,05 milioni di suini da macello, avviati verso gli stabilimenti del gruppo olandese Vion in Germania (dove i costi di macellazione sono nettamente inferiori, NdT). La concorrenza sul mercato tedesco dei suinetti è molto dura con la Danimarca, che qui ha esportato circa 7 milioni di capi nel 2010.

Dei circa 25.000 allevamenti di scrofe nel 1980 (taglia media 57 scrofe) ne restano nel 2010 meno di 3.000, con una taglia media di 416 scrofe. Di qui ai prossimi 5 anni (2015), circa la metà potrebbe scomparire. Un terzo delle scrofe è già in allevamenti di oltre 1.000 capi, il 14% in allevamenti di oltre 2.000 capi. La moltiplicazione di questi “mega-allevamenti” (definiti tali con oltre 1.200 scrofe o 7.500 posti all’ingrasso), ha finito per incontrare la netta opposizione della popolazione per problemi di benessere e sanità animale, impatto ambientale e paesaggistico e, in generale, di trasformazione di un’attività agricola in una vera e propria industria. La risposta dell’autorità pubblica non si è fatta attendere, stabilendo un limite alle dimensioni degli allevamenti e favorendo il confronto pubblico con le comunità interessate.

Ambiente: sfida programmatica e tecnica

A partire dalla metà degli anni ’80, il capitale suino olandese è contingentato. I cosiddetti “diritti suino” (paragonabili alle “quote latte”, NdT), sono calcolati a partire dal tenore di fosfati nei reflui (1 diritto = 7,4 kg di P2O5 eliminati) ed espressi in animali presenti (1 suino all’ingrasso = 1 diritto; 1 scrofa e la sua covata fino a 25 kg = 2,74 diritti). Un allevatore non può detenere più suini di quanto previsto, mentre può, se vuole, non utilizzare tutti i diritti di cui dispone. I diritti si vendono e si prendono in affitto sul libero mercato, generando uno scambio tra allevatori. Tra il 1998 e il 2004 il loro ammontare è stato ridotto dal governo del 18%, dopodichè è rimasto stabile sino ad oggi ed è pari a 8,84 milioni di diritti totalmente attivi.

A partire dalla metà degli anni ’90, per ridurre gli effetti negativi dell’allevamento intensivo sull’ambiente e i rischi sanitari, il governo olandese ha deciso di riorganizzare l’attività zootecnica sul territorio. La cosiddetta “Legge di ricostruzione spaziale”, entrata in vigore nel 2002, divide il territorio delle regioni a vocazione zootecnica in tre zone:

  • "zone miste", nelle quali si trovano il 56% dei suini olandesi. La costruzione di nuovi allevamenti è proibita, così come l’ampliamento di quelli esistenti. Nessun aiuto pubblico è assegnato per il trasloco dell’attività nelle zone di sviluppo agricolo
  • "zone estensive", situate in prossimità di aree a valore naturalistico (sensibili all’acidificazione di acque e terreni) o di città e villaggi (sensibili agli odori), nelle quali l’allevamento intensivo deve arrivare a scomparire. Interessa il 10% dei suini allevati. Sia la creazione che l’ampliamento degli allevamenti sono proibiti. Due programmi di incentivazione sono proposti agli allevatori per trasferirsi nelle zone di sviluppo agricolo o per cessare l’attività
  • "zone di sviluppo agricolo" (LOG), destinate ad accogliere gli allevamenti provenienti dalle zone precedenti. Ad oggi (2010) ospitano il 15% dei suini olandesi.

Nelle condizioni attuali, l’Olanda deve smaltire grandi eccedenze di azoto e fosforo di origine animale. Una soluzione interessante è quella di esportarle in Germania, dove il costo di smaltimento si aggira sui 6-7 euro/m3 contro i 18-25 euro/m3 olandesi. Ma, ovviamente, queste “esportazioni” sono criticate dall’opinione pubblica tedesca per i rischi sanitari e ambientali che comportano. E’ chiaro che si tratta di una situazione insostenibile, che richiede una risposta politica e tecnica all’interno del territorio olandese in grado di ridurre gli attuali costi esorbitanti di smaltimento.

Benessere animale: sfida politica ed economica

La questione della protezione animale è molto sentita in Olanda, con organizzazioni attive e diffuse sul territorio ed un partito politico che ne fa il proprio emblema.
Per gli economisti, la redditività della filiera suina olandese dipende ormai dalla creazione di un’immagine e di uno standard produttivo/qualitativo che difenda le produzioni nazionali dalla concorrenza giudicata insostenibile di altri paesi a minor costo di produzione.
A partire dal luglio 2011, uno dei maggiori distributori nazionali (Albert Heijn, partner di Vion) commercializza unicamente carne suina etichettata “One Star” (1 milione di suini macellati) che garantisce al consumatore il rispetto delle norme sul benessere animale.

Conclusione

Nonostante difficoltà tecniche e regolamentari sorte negli ultimi decenni, la libertà d’impresa nel settore suinicolo è stata mantenuta, permettendo un’evoluzione giudicata necessaria dai responsabili economici per la sopravvivenza della filiera olandese. L’intensa azione di lobby delle associazioni di categoria garantisce una corretta dinamica nelle trasformazioni richieste dal potere politico, che comunque mostra di possedere il giusto realismo di fronte ad un settore ritenuto strategico per l’economia nazionale.
Certamente, l’evoluzione più recente verso i mega-allevamenti ha radicalizzato il confronto fra le parti e sembra non rispondere più a modelli di agricoltura sostenibile, tanto da far imboccare alla filiera suina strade alternative alla rincorsa della sola competitività produttiva. I prossimi anni ci diranno se queste tensioni sociali porranno un freno alla crescita ininterrotta registrata a partire dal 2003.