L’anemia è una condizione frequentemente riscontrata negli allevamenti suinicoli, in particolare nei suinetti neonati. L’anemia è generalmente associata ad una ridotta concentrazione di emoglobina nel sangue, che porta ad una scarsa ossigenazione dei tessuti e, nei casi più gravi, ad un rallentato accrescimento, aumentata mortalità e peggioramento del benessere animale. In questo contesto, la diagnosi precoce riveste un ruolo chiave per prevenire conseguenze sanitarie ed economiche.
Tradizionalmente, la valutazione dell’anemia avviene tramite analisi di laboratorio, con metodiche precise ma spesso lente, costose e poco pratiche in ambito aziendale. Negli ultimi anni l’interesse verso strumenti diagnostici cosiddetti “point-of-care” (POCT) è cresciuto notevolmente anche in medicina veterinaria, grazie alla possibilità di effettuare misurazioni direttamente in allevamento, in tempi brevi e con minima invasività. Tuttavia, un loro impiego diffuso richiederebbe un’attenta valutazione della loro attendibilità, soprattutto in specie come il suino, dove la variabilità fisiologica e le condizioni ambientali possono influenzare i risultati. Diventa, infatti, fondamentale validare l’accuratezza e la ripetibilità dei dati ottenuti, oltre a considerare aspetti pratici come la sede di prelievo del campione ematico, che potrebbe alterare le concentrazioni rilevate.
Tali considerazioni vengono affrontate da Katlyn A. McClellan in “Evaluating point-of-care testing for anemia diagnosis in pigs: Blood collection location disparities, repeatability, and validity”, lavoro nel quale la studiosa si prepone tre obiettivi principali: valutare la validità dei dispositivi POCT per la determinazione dell’emoglobina nei suini paragonandoli alla misurazione in laboratorio, analizzare la ripetibilità degli esiti e indagare l’influenza della sede di prelievo sui valori ottenuti.
I risultati mostrano che le misurazioni ripetute da vena auricolare sono altamente riproducibili, anche se il 7,9% dei suinetti vicino al cutoff di 10 g/dL (valore al di sotto del quale si considera un animale affetto da anemia) ha ricevuto classificazioni di anemia discordanti. I valori di HbC da vena auricolare e mammaria non differivano tra loro, ma erano significativamente più alti rispetto a quelli dal sangue prelevato del moncone della coda; probabilmente a causa del taglio vi è una mescolanza di sangue venoso, arterioso e fluidi tissutali, che ha portato a rivelare un’anemia apparente nel 92,1% dei casi.

Foto 1 (da internet): esempio di dispositivo per la misurazione del'emoglobina
I confronti tra POCT e test di laboratorio non hanno evidenziato differenze significative su campioni della giugulare, mostrando una leggera sottostima media di 0,45 g/dL rispetto al laboratorio; ciò porta il POCT entro limiti di accettabilità clinica, ma dimostra come la sede di prelievo possa influenzare la diagnosi di anemia, in particolare nei soggetti con valori borderline. La coerenza nella sede di prelievo è quindi cruciale per monitoraggi longitudinali e accuratezza diagnostica e la diagnosi clinica dovrebbe includere anche segni clinici e non basarsi solo sul valore di HbC.
In conclusione, questo studio conferma che i POCT possono rappresentare un valido supporto per il monitoraggio della salute del singolo animale o dell’intero gruppo, migliorando la tempestività delle decisioni cliniche e gestionali, senza dimenticarsi però che la scelta del dispositivo, la comprensione del principio di funzionamento e l’attenzione alla tecnica di campionamento sono elementi imprescindibili per garantire misurazioni attendibili.