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Suinicoltura + Suinicultura

Le immunoglobuline: tutto quello che c'è da sapere

(Giulia Catellani, laureanda MV)

Le immunoglobuline (Ig), dette anche comunemente anticorpi, sono proteine particolari con il compito di riconoscere ed identificare tutto ciò che vi è di esterno all’organismo al fine di facilitarne l’eliminazione. Esistono diversi tipi diversi di Ig, identificate con lettere dell’alfabeto, in base alla provenienza, al sito di attivazione e al ruolo a loro conferito nel riconoscimento dei patogeni.

Tali proteine costituiscono l’80% di quelle totali del colostro (in particolare 95.6 mg/ml di igG, 21,2 mg/ml di igA e 9,1 mg/ml di igM. Figura 1) realizzando così la capacità di trasferire la protezione immunitaria passiva ai suinetti che lo ingeriscono; le immunoglobuline, quindi, attraversando il tratto gastro enterico raggiungono l’intestino dei suinetti, nel quale riescono ad essere assorbite immediatamente ed in maniera integra entrando in circolazione senza essere processate dagli enterociti che, ancora immaturi, non oppongono nessuna barriera.  

 Figura 1.  Concentrazione di ogni tipo di immunoglobulina, nel colostro e nel latte

Figura 1.  Concentrazione di ogni tipo di immunoglobulina, nel colostro e nel latte

 

Il trasferimento delle immunoglobuline, dalla scrofa al suinetto, può avvenire esclusivamente per via orale in quanto l’immunità non può essere trasferita durante la gravidanza essendo la placenta di tipo epitelio-coriale. In questo contesto, infatti, non essendoci contatto diretto fra il sangue della circolazione materna, ricco di anticorpi, con quello della circolazione fetale, di fatto lo scambio è impossibilitato.  

Andando infatti a prelevare il sangue dei suinetti appena nati prima prima che assumano il colostro, si è visto come essi siano completamente sprovvisti di attività immunitaria, nonostante la specie suina sia l’unica tra quelle domestiche in cui il feto è in grado di produrre igG e igM già in utero a 30-40 giorni (cosa che però si verifica solo  in presenza di una forte stimolazione antigenica).Se l’assunzione del colostro avviene entro le prime tre ore di vita i neonati riescono ad acquisire la massima concentrazione di anticorpi possibile, che invece si abbasserebbe assumendolo esclusivamente durante le ore successive, riducendosi della metà a 12h e scomparendo incirca dopo le 24h dopo il parto, in corrispondenza con il passaggio alla produzione di latte (Figura 2)

 Figura 2: composizione del colostro durante lo svezzamento dal primo nato alle 24 ore successive

Figura 2, composizione del colostro durante lo svezzamento dal primo nato alle 24 ore successive

 

Tuttavia, non tutte le scrofe producono la stessa quantità di immunoglobuline e non tutte le mammelle la esprimono: esiste infatti una variabilità abbastanza elevata dovuta a genotipo, alimentazione, ed ordine di parto. Risulta bene documentata la difficoltà da parte dei giovani riproduttori, scrofette in particolare, nel trasferire una adeguata quantità di immunoglobuline alla propria progenie che, in ogni caso, risulta minore rispetto alla stessa capacità delle scrofe più anziane. Questa particolare condizione deriva dall’inevitabile minor tempo di contatto della scrofetta con gli antigeni aziendali durante la loro vita rispetto alle scrofe pluripare, tesi tuttavia che  sempre più ricercatori stanno confutando (Figura 3).

 Figura 3: differenza di quantità di immunoglobuline in base all’ordine di parto

Figura 3: differenza di quantità di immunoglobuline in base all’ordine di parto

 

Un altro aspetto fondamentale che va a contribuire alla qualità del colostro è lo stato delle mammelle. Fare una valutazione clinica di routine basata su ispezione e palpazione permette di riconoscere una mammella sana: morbida ed elastica al tatto, non eccessivamente calda e non dolente, di colore rosato fatta eccezione per i capezzoli di colore più scuro; essa produrrà colostro e latte di qualità e quantità maggiore, in quanto l’apparenza esterna rispecchia il corretto funzionamento degli alveoli all’interno della ghiandola mammaria.

Una mammella patologica affetta per esempio da mastite, che quindi avrà meno quantità di latte presente, apparirà inizialmente molto arrosata, edematosa, dolorante al tatto ed aumentata di volume fino a cronicizzarsi e diventare nodulosa (Figura 4).

 Figura 4: comparazione mammella sana (a) con mammella edematosa (b) e mammella caudale con presenza di nodulo (c)

 

Figura 4: comparazione mammella sana (a) con mammella edematosa (b) e mammella caudale con presenza di nodulo (c)

 

Un metodo interessante e innovativo per diagnosticare precocemente una mastite è quello studiato da Rosengart et al., i quali grazie all’utilizzo di una termocamera ad infrarossi hanno assegnato ad ogni livello di severità della patologia un determinato grado di temperatura della mammella, rilevando come anche quella locale aumentasse significativamente; grazie a questo metodo in corso di sospetto di mastite o di carenza di colostro possiamo quindi andare a fare una diagnosi precisa e veloce in azienda, associandola ad una misurazione rettale per verificare un possibile coinvolgimento sistemico. La temperatura corporea dell’animale viene ritenuta adeguata nel postpartum fino a 39.5° C, valore che se si dovesse alzare andrebbe ad influenzare negativamente la produzione e la quantità di secreto in quanto il glucosio necessario per la produzione di latte, verrebbe convertito in energia per sostenere il sistema immunitario e l’organismo durante il rialzo febbrile.

Quando un suinetto non riceve abbastanza immunoglobuline da sostenere il suo sistema immunitario (per mancata assunzione o per qualità scarsa del colostro) si parla di FPT o failure of passive transfer, condizione che causerà la morte del suinetto per mano di tutte quelle patologie infettive, principalmente enteriche, in grado di manifestarsi in sala parto, patogeni che con gli adeguati anticorpi avrebbero potuto dare un esito certamente diverso.