SUIVET

Suinicoltura + Suinicultura

(Dott. Andrea Setti)

Quando l'Organizzazione Mondiale della Sanità avverte che il mondo può sprofondare in un'era post-antibiotica, dove la resistenza agli antibiotici potrebbe causare ogni anno più morti del cancro, è giunto il momento di intraprendere un'azione forte e risolvere il problema alla radice.”

Questa affermazione è di Françoise Grossetête (Comitato ENVI – Parlamento Europeo) che il 10-03-2016, in un suo intervento al parlamento europeo sul pericolo dell’antimicrobico resistenza, evidenzia l’urgenza di mettere in atto azioni forti contro tale problema. In passato, in tempi non sospetti, illustri scienziati evidenziarono la problematica in maniera netta.

"Il signor X ha un mal di gola. Si compra un po' di penicillina e si cura, non abbastanza per uccidere gli streptococchi, ma abbastanza per educarli a resistere penicillina. Poi infetta sua moglie. La signora X si prende la polmonite ed è trattata con penicillina. Poiché gli streptococchi sono ora resistenti alla penicillina il trattamento fallisce. La signora X muore."

Queste parole furono pronunciate da Sir Alexander Fleming, per chiudere la sua lezione alla consegna del Nobel per la scoperta della penicillina nel 1945 (Fleming, 1964). L'esempio di cui sopra è stato utilizzato per mettere in guardia i colleghi e le future generazioni sulle inevitabili conseguenze derivanti da un uso inefficace dell'antibiotico che aveva scoperto. Meglio di ogni altra cosa, queste parole forniscono una descrizione accurata della minaccia imposta dalla resistenza antimicrobica. Fleming, però, commise due errori: 1) la penicillina non è dose dipendente; 2) il mal di gola non andava curato con penicillina.

La resistenza antibatterica è in costante aumento in tutto il mondo. Rappresenta ormai la più grande minaccia nell’ambito delle malattie infettive ed è diventata un problema di salute pubblica multisettoriale e multidimensionale (uomo, animale, ambiente). I problemi più importanti nell’ambito dell’AMR in Italia in campo umano sono dati da 10 microrganismi:

  • Enterobacteriaceae produttrici di carbapenemasi (CPE);
  • Staphylococcus aureus meticillino-resistente(MRSA);
  • Enterococco vancomicino-resistente (VRE);
  • Clostridium difficile;
  • Enterobacteriaceae produttrici di beta-lattamasi ad ampio spettro (ESBL);
  • Acinetobacter baumannii multiresistente;
  • Pseudomonas aeruginosa multiresistente;
  • Neisseria gonorrhoeae resistente al ceftriaxone;
  • Streptococcus pneumoniae resistente alla penicillina;
  • Mycobacterium tuberculosis multiresistente.

Per contrastare tale emergenza sanitaria, nella ricerca si stanno percorrendo anche strade non convenzionali: nel latte del diavolo della Tasmania arma contro superbatteri.

Il latte prodotto dai diavoli della Tasmania potrebbe offrire un'arma utile contro i "superbatteri" resistenti agli antibiotici. Uno studio dell'Università di Sidney, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, ha scoperto che il latte del marsupiale contiene peptidi importanti che sembrano essere in grado di eliminare i batteri responsabili di infezioni difficili da trattare, tra cui lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA).

Secondo i ricercatori, il latte dei diavoli della Tasmania si è "evoluto" per aiutare la prole a diventare più forte. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno analizzato il codice genetico del mammifero per trovare e ricreare i composti che combattono le infezioni, chiamati catelicidine. Sono stati così individuati sei peptidi importanti. Sono simili a quelli presenti nel latte di altri marsupiali, il che significa che vale la pena studiarli.

Successivamente i ricercatori hanno ricreato i peptidi individuati e li hanno testati su 25 tipi di batteri e sei tipi di funghi. Uno dei peptidi sintetici, chiamato Saha-CATH5, é risultato essere particolarmente efficace contro MRSA. Inoltre, sembra esser stato in grado di eliminare un altro batterio resistente, l'enterococcus resistente alla vancomicina, così come il fungo chiamato Candida [ Agi - 18.10.2016 ]. In Italia la resistenza agli antibiotici si mantiene purtroppo tra le più elevate in Europa e quasi sempre al di sopra della media europea.

Nel quadriennio 2010-2013 nelle specie GRAM-negative si è osservato un trend prevalentemente in aumento (la percentuale di ceppi invasivi di Klebsiella pneumoniae resistenti ai carbapenemi in Italia in 6 anni è aumentata da meno dell’1% nel 2008 al 34% nel 2013), mentre i dati di resistenza per i patogeni GRAM-positivi sono tendenzialmente stabili, ma sempre elevati. La sorveglianza ha confermato, inoltre, che i livelli di resistenza sono più alti al Centro e al Sud rispetto al Nord Italia, dato strettamente in relazione con il maggior consumo di antibiotici registrato in queste aree geografiche (ECDC). La diffusione della resistenza agli antibiotici provoca fallimenti terapeutici, tassi di ospedalizzazione maggiore, più morti e più elevati costi per la sanità pubblica. Aumenta il rischio di non poter disporre più di cure efficaci anche per le infezioni più lievi. La dimensione del problema è disegnata dal fatto che oggi in Europa si può morire per infezioni causate da batteri antibioticoresistenti (50.000 morti/anno in Europa e USA). Entro il 2050, può condurre a circa 10 milioni di morti, con un impatto negativo sul PIL mondiale del 3,5%. In Italia, secondo dati della SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), ogni anno muoiono a causa dell’AMR fra 4.500 e 7 mila persone, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro. L’Italia in Europa è il Paese con le percentuali di resistenza più elevate, che in alcuni casi arrivano al 50%. Ma quali accorgimenti ha dunque attuato il legislatore, nel tempo, per controllare l’AMR derivante dall’uso di AM? L’uso degli antibiotici quali promotori di crescita inizia in Europa, attorno agli anni 60 negli allevamenti di suini e pollame. Nel tempo l’Europa ne restringe sempre più l’uso. Il percorso per bandire gli AM quali promotori di crescita si è concluso con il Reg. 1831/2003: l'Unione europea vieta l'utilizzo di tutti gli antimicrobici utilizzati come promotori della crescita a partire dal 1 gennaio 2006. Situazione ben diversa negli Stati Uniti d’America. Nel mese di aprile 2016, la Food and Drug Administration (FDA) ha annunciato nuove prove che dimostrano che l'utilizzo del carbadox nei suini potrebbe portare a residui cancerogeni nella carne di maiale, anche se il produttore ha rispettato il tempo di attesa necessario prima della macellazione. La FDA ha iniziato il processo per vietare l'uso di carbadox, ma il produttore del farmaco si sta opponendo al divieto. Il processo per arrivare a vietare l'uso di un farmaco può prendere da 5 a 20 anni per la FDA, quando sfidato da un produttore di farmaci, e nel frattempo, il farmaco può continuare ad essere venduto.

In conclusione, di fronte all’AMR, noi medici veterinari, come ci dobbiamo porre?

Dobbiamo, a mio modesto parere, partire da una considerazione generale: come si estrinseca il sapere di una professione intellettuale:

  • Sapere = conoscenze (una professione intellettuale non può esimersi dall’acquisire sempre nuove conoscenze, ovvero il rispetto normativo e la conoscenza del dato scientifico).
  • Saper fare = capacità, abilità esperienza (una professione intellettuale non può esimersi dall’applicare sempre nuove conoscenze, ovvero le Buone Pratiche Veterinarie e la farmacovigilanza ).
  • Saper essere = comportamenti, atteggiamenti, stili personali (una professione intellettuale non può esimersi dall’impegnarsi per risolvere nuovi problemi, ovvero scienza, coscienza e professionalità).

Il legislatore, sia europeo che nazionale, attribuisce ai due ruoli veterinari, Pubblici e Liberi Professionisti, la medesima missione di tutela degli obiettivi espressi dalla legge.

L’Europa chiede alle professioni intellettuali (e particolarmente alla nostra regolata da una vasta normativa a tutela della salute pubblica) di sapere, di saper fare e di saper essere.

Siamo una professione affidabile sul sapere e saper fare. Il saper essere invece, quale capacità di comprendere il contesto in cui si opera, di gestire le interazioni con gli altri attori sociali presenti, di adottare i comportamenti appropriati alla soluzione di un problema, ossia la capacità politica di collocare il proprio impegno e le proprie rivendicazioni, è un percorso ancora in salita per la nostra professione. Abbiamo sconfitto malattie quali: peste bovina, pleuropolmonite contagiosa, afta, carbonchio ematico e sintomatico, morbo coitale maligno, morva, rabbia, vaiolo ovino, quindi anche per l’AMR dobbiamo essere in prima linea. Le produzioni animali intensive necessitano di ingenti risorse idriche e di pascoli a discapito di altre vegetazioni. Produrre i loro alimenti, sacrificare parti di territorio, provvedere a gestirne i rifiuti, contribuisce all’inquinamento ambientale e al disequilibrio dell’ecosistema. In tema di AMR la preoccupazione del legislatore europeo in quanto a passaggio di AMR da animale a uomo, è rivolto soprattutto a queste produzioni per l’alta medicalizzazione che alcune di queste richiedono. La figura del veterinario in quanto a competenze è l’unica in grado di gestire quell’incrocio di tematiche che possano far convergere fabbisogni alimentari, tutela di salute e benessere animale, tutela ambientale e salute pubblica.