(dott. Claudio Mazzoni)
Ricordo ancora con grande entusiasmo le giornate dell’1-2 settembre del 2008 allorquando, nel contesto dell’affascinante Marriot Hotel di Zurigo, la Pfizer ci presentò il primo (e a tutt’oggi ancora unico) presidio immunizzante in grado di realizzare l’immunocastrazione. Furono giornate davvero ricche di emozioni poiché, così come per il lancio dell’Alliltrembolone per la sincronizzazione degli estri nelle scrofette, era davvero possibile dire che ci trovassimo difronte ad un cambiamento epocale. In effetti, questi erano farmaci grado di cambiare considerevolmente le operazioni zootecniche in allevamento agevolandole sotto molti punti di vista.
Parlando dell’immunocastrazione possiamo dire che il passo sia stato davvero importante dal momento che è in grado, in tutto e per tutto, di ottenere l’effetto della castrazione attraverso la produzione di anticorpi contro gli ormoni sessuali del maschio (foto 1) anziché lasciare alla chirurgia dei primi 7 giorni di vita questo importante compito. Il fine ultimo è lo stesso, ovvero impedire agli organi sessuali maschili di produrre sostanze (androsterone e scatolo) in grado di conferire alle carni quell’inconfondibile, quanto sgradevole odore, definito appunto “odore di verro” che le rendono letteralmente immangiabili.
Foto 1: schema di funzionamento dell'immunocastrazione
Sfortunatamente fino a qualche mese fa, l’immunocastrazione non ha trovato nell’applicazione il giusto numero di proseliti, forse per una questione legata ai costi, forse per una questione di praticità o, molto più probabilmente per una questione culturale legata al fatto che i nostri allevatori “hanno sempre fatto così”, ovvero con il bisturi!
Oggi però è stato fatto un importante passo in avanti sull’argomento dell’immunocastrazione dato che la registrazione è stata estesa anche alle femmine e che il confezionamento del vaccino, è stato meglio calibrato anche per allevatori con esigenze legate ai piccoli numeri. Ecco che allora, grazie a quest’ultimo punto, anche gli allevamenti di piccole dimensioni, possono accedere all’opportunità di castrare i suinetti della propria filiera senza dover praticare la chirurgica così vessata dall’opinione pubblica, e dal 2010 dalla Comunità Europea stessa, come attività che giustamente va ad interferire negativamente con il benessere dell’animale. Tuttavia, come considerazione personale, mi chiedo piuttosto spesso quanto sia davvero la percezione da parte del consumatore su quest’argomento piuttosto che se non vi siano altre ragioni, diciamo così più commerciali o politiche, rimane che l’argomento dell’abolizione della castrazione chirurgica dei suinetti, è sulla bocca di tanti (ma non tutti). Certamente però vale la pena ricordare come la castrazione chirurgica sia un intervento a tutti gli effetti che viene realizzato in condizioni di allevamento quindi, da un punto di vista igienico-sanitario precarie, e non infrequentemente da personale che, fino almeno a prima dell’avvento di ClassyFarm, non sempre perfettamente preparato.
La possibilità di disporre di confezionamenti più piccoli, quindi più pratici, permette un altro interessante impiego. Mi riferisco alle chirurgie delle castrazioni dei suini in magronaggio, ma soprattutto ingrasso, che malauguratamente sono “scappati alla chirurgia in sala parto. In effetti, fino ad oggi, questi soggetti erano sottoposti alla castrazione chirurgica direttamente nel sito di accrescimento/ingrasso dove, sebbene previa analgesia ed anestesia, piuttosto che successivo confinamento in box dedicati, avevano una convalescenza talvolta complicata proprio dalle condizioni igieniche dell’ambiente. Oggi tutto questo può essere ovviato tramite la castrazione immunologica che, al posto della pratica chirurgica, propone due o tre somministrazioni iniettabile di vaccino non certamente paragonabili alla chirurgia e soprattutto alla fase riabilitativa successiva alla stessa.
Dicevamo poi dell’estensione della registrazione verso le femmine e non più solo sui maschi. Beh! A questo punto vi chiederete per quale motivo estendere alle femmine questa pratica visto che c’è poco da castrare? e la domanda è del tutto lecita. Tuttavia, l’effetto dell’immunocastrazione sulle femmine ha conseguenze sul loro comportamento ed esita in una condizione di benessere maggiore con conseguenti miglioramenti delle performance di crescita. Durante l’estro le femmine nella fase di ingrasso sono più a rischio di sviluppare zoppie, fratture e lesioni dovute al fisiologico atteggiamento di monta reciproca con gli altri suini presenti nel box. Le femmine immunocastrate hanno mostrato meno atteggiamenti aggressivi e meno lesioni frontali e alla schiena rispetto alle femmine non castrate, così come meno problemi di zoppie e agli arti. Questo è possibile andando a inibire il funzionamento degli ormoni sessuali attraverso l’attività di immunocastrazione. Così come accade nei maschi, l’immunizzazione delle femmine induce una risposta contro il fattore di rilascio delle gonadotropine (GnRH). Questo fattore controlla la funzionalità delle ovaie attraverso altri due ormoni, LH e FSH, riducendone l’attività in modo considerevole. Si va così a prevenire tutta una serie di comportamenti che derivano dal manifestarsi del ciclo estrale, come ad esempio il riflesso di immobilità, tipico del calore, e l’atteggiamento di monta reciproca (già precedentemente menzionato) in presenza di femmine sessualmente mature. Con il fine di raggiungere questi risultati, viene raccomandata la vaccinazione a partire da 14 settimane di età, il richiamo va eseguito ad almeno 4 settimane di distanza. Gli effetti sopracitati si verificano, così come nel maschio, da 1 a 2 settimane dopo il secondo intervento vaccinale. La soppressione della funzione ovarica dura all’incirca 9 settimane a partire dalla seconda somministrazione. L’impatto dell’immunocastrazione sulle femmine non è solamente sul comportamento. Sono presenti studi che hanno dimostrato un miglioramento nelle performance produttive di femmine immunizzate. In particolare, l’incremento medio giornaliero era più alto, così come l’ingestione giornaliera. Infine, al momento della macellazione, avevano un peso maggiore e lo spessore del lardo dorsale era più consistente. Interessante poi osservare che le caratteristiche organolettiche della carne fossero simili a quelle delle femmine non castrate.
In conclusione, grazie alle nuove estensioni della registrazione del farmaco preposto all’immunocastrazione, possiamo dire che le opportunità della filiera suinicola per produrre un prodotto davvero etico, si sono notevolmente ampliate. Ora però è importante dimostrarne appieno la sostenibilità e, sebbene al riguardo vi siano già importanti evidenze scientifiche sui maschi, qualche lavoro in più sembra ancora debba essere implementato sulle femmine. Attenzione però! I primi studi al riguardo sono davvero interessanti……e da questi bisognerà partire e provare.