La percentuale di mortalità delle scrofe in allevamento presenta una variabilità decisamente ampia raggiungendo, in casi particolari, anche picchi del 10-15% (Martineau 1997, Muirhead et al., 1997) fino anche ad un 20%, tuttavia è considerata accettabile un’incidenza del 3-9%. È importante sottolineare che, di tutta la mortalità che colpisce le scrofe in allevamento, circa il 60% avviene in sala parto, con una concentrazione del 42% nel peri-parto. Le principali cause di morte sono: le torsioni e gli incidenti dell’apparato gastroenterico, l’insufficienza cardiaca e la cistite-pielonefrite (D’Allaire et al., 1999). In tutte queste situazioni è preferibile agire in prevenzione, chiedete al vostro veterinario aziendale come procedere per il meglio, anche perché i sintomi sono spesso assenti ed i decorsi, quasi sempre acuti, si concludono il più delle volte con la morte della scrofa.
Le torsioni dell’apparato gastroenterico sono la principale causa di morte nell’intera filiera del suino. Tuttavia per quanto riguarda la scrofa, colpisce prevalentemente gli animali in asciutta, anche se i voluminosi pasti assunti durante la lattazione possono essere considerati predisponenti. Dipende sostanzialmente da due fattori: uno legato ad un’eccessiva dilatazione dello stomaco o del piccolo intestino, quindi pasti molto abbondanti o troppo fermentescibili; l’altro riconosce una base anatomica, visto che tutto l’apparato gastro-enterico è mantenuto in sospensione nell’addome tramite un ampio, ma unico, legamento (mesentere). Questa condizione anatomica predispone inevitabilmente l’apparato alla torsione. Il primo sintomo è il rigonfiamento dell’addome, ma nella stragrande maggioranza dei casi la scrofa viene ritrovata morta.
Fra gli incidenti dell’apparato gastroenterico l’ulcera gastrica è, nella scrofa in lattazione, probabilmente abbastanza comune, ma difficile da diagnosticare. Si tratta di processi cronici che si acuiscono in sala parto a seguito dell’incremento considerevole dell’ingestione. La sintomatologia dipende dall’entità della lesione e dal suo sanguinamento. Se si verifica un’emorragia si osservano feci nere, facilmente stitiche, l’animale spesso è sternale, digrigna i denti per il dolore e appare pallido (anemico). Il trasferimento della scrofa in un ambiente più tranquillo ed il cambio dell’alimentazione verso formule più digeribili, oltre che la somministrazione di coagulanti iniettabili, possono essere dei tentativi per recuperare il soggetto, di cui tuttavia sarà opportuno programmarne la riforma.
Credo comunque che valga la pena spendere alcune parole in più per l’insufficienza cardiaca. Con il suo 31% di incidenza sul totale delle morti, è la principale causa di mortalità nella scrofa (D’Allaire et al., 1999). Il motivo di ciò è da ricercare prevalentemente nella debolezza dell’apparato cardiocircolatorio stesso; infatti il rapporto fra volume del cuore e volume del corpo che, con il passare del tempo, diventa sproporzionatamente a vantaggio del secondo, predispone la scrofa a questo grave disturbo. Se a ciò abbiniamo una straordinaria sensibilità del muscolo cardiaco alla carenza di ossigeno, il danno è fatto! Possiamo quindi facilmente capire perché qualsiasi situazione che richieda alla scrofa un incremento dell’attività cardiaca (es.: l’obesità, il parto, l’aumento delle temperature ecc.) sia già di per sé un fattore di rischio importante per l’insufficienza cardiaca. L’agitazione, l’irrequietezza, ma soprattutto il respiro via via più affannoso, fino alla respirazione eseguita con la bocca aperta (fame d’aria), sono indicativamente i primi sintomi che devono suonare come campanello d’allarme per la messa in atto di quelle procedure che possono permettere un ritorno alla normalità. Questo accade solo se vengono attuate tempestivamente e prima dell’irreversibilità della prognosi, che si manifesta con l’occhio sbarrato e violenti tremori muscolari.
Dall’attività di campo ritengo possano essere messi in atto due livelli di intervento, in base alla fase di evoluzione dei sintomi:
Fase |
Sintomi |
Intervento |
1 |
Irrequietezza, respiro via via più affannoso |
Rimozione della mangiatoia, mantenimento di collo e muso bagnati con acqua fresca, iniettare un coadiuvante per le miopatie |
2 |
“fame d’aria”, inizio dei tremori |
Iniettare un broncodilatatore ed un coadiuvante per le miopatie, ove possibile rimuovere gentilmente l’animale dalla gabbia parto e posizionarla in un ambiente più arieggiato |
Esistono inoltre molte altre cause di mortalità nelle scrofe che, per la loro bassissima incidenza, vengono definite minori, fra queste in sala parto ricordiamo i prolassi dell’utero e le emorragie, soprattutto vulvari.
Prolasso dell’utero: è generalmente responsabile del 7% della mortalità totale. Colpisce prevalentemente le scrofe anziane, dal 5° parto in avanti (Muirhead et al., 1997), o scrofe con molti suinetti o suinetti molto grossi al parto. Le ragioni non sono molto chiare. Alcune ipotesi vedono nell’aumento delle dimensioni della cavità pelvica, nell’utero più lungo e flaccido ed una maggiore rilassatezza della regione perianale le cause più importanti.
Solitamente l’utero prolassa, in parte o tutto, nel giro di 2-4 ore dal parto. La soluzione migliore per questi casi è la riforma, anche se il rischio maggiore è che la scrofa muoia prima per emorragia. Tutti gli interventi messi in atto sia a livello di campo che a livello veterinario sono spesso laboriosi ed inefficaci, da qui la scelta di una decisione senza ritorno. Se il prolasso avviene prima del parto è a rischio anche la covata, ma fortunatamente questa è l’evenienza minore.
Solo nella misura in cui il prolasso è poco accennato, e l’intervento tempestivo, è possibile salvare la scrofa, ma non il suo futuro riproduttivo. In questi casi bisogna procedere alla rimozione della scrofa dalla gabbia, alla sua sedazione e, dopo aver lubrificato l’utero prolassato con il gel da esplorazione, si può procedere delicatamente alla sua reintroduzione in cavità pelvica. A questo punto è importante trovare il sistema di sollevare il bacino della scrofa dal terreno, in modo da creare una pressione negativa all’interno dell’addome ed evitare così una nuovo prolasso dell’organo.
Emorragia della vulva: è una situazione che si verifica a seguito della rottura di alcuni vasi sanguigni causata da un’eccessiva dilatazione o trauma dei tessuti dell’organo. La vulva si ricopre di sangue ed i tessuti diventano molto fragili. A questo punto un evento traumatico, anche di lieve entità, può scatenare l’emorragia con notevole fuoriuscita di sangue in grado di portare a morte per dissanguamento in breve tempo. Questa situazione è più frequente nel corso di assistenza al parto delle scrofette, ove l’atto dell’esplorazione vaginale coincide con il trauma scatenante (Muirhead et al., 1997).
Interventi consigliati: dopo aver sedato l’animale, procedere ad una tenace tamponatura della zona, all’interno della vulva, da cui si intuisce possa fuoriuscire il sangue. Utili possono essere quelle polveri disinfettanti ad alto potere adsorbente che, favorendo la coagulazione del sangue, possono favorire la cicatrizzazione. Quando disponibile, anche il ghiaccio ha fornito risultati soddisfacenti, se adeguatamente pressato sulla parte. Nei casi più gravi la legatura della vulva può essere l’unica soluzione e l’eventuale intervento del veterinario aziendale potrebbe essere necessario per chiudere definitivamente i vasi più recidivi. Importante è inoltre proteggere la vulva della scrofa da ulteriori azioni traumatiche con la gabbia (vedere immagine) mediante un’imbottitura con materiale idoneo della stessa. La scrofa deve essere monitorata nelle 24 ore successive per evitare ulteriori, quanto letali, recidive.