(Dott. Roberto Bardini)
Per trattare questo argomento prendo spunto da un caso reale capitato qualche mese fa in una azienda all’ingrasso, ma prima di condividere quanto accaduto ritengo sia doverosa una breve premessa; il prolasso rettale nel suino , se chirurgicamente risolto poco tempo dopo la sua comparsa, può limitare danni più gravi, ma più frequentemente , anche se apparentemente risolto, spesso porta ad una perdita economica fino alla eliminazione del soggetto come scarto, interrompendo il suo normale ciclo economico fino alla macellazione. A mio parere esiste anche una certa predisposizione genetica che, unita ai sistemi di alimentazione a volontà e a bagnato, ne favoriscono la frequenza . La estroflessione del retto si presenta più spesso in soggetti all’inizio della fase di magronaggio, quindi fra i 25 e 50\60 kg di peso vivo, molto più raramente a pesi superiori. Le cause sono le più disparate, ed in genere il tenesmo è la più frequente : se scorriamo l’elenco delle patologie che vi concorrono si và dalla Salmonellosi enterica, che spesso sfocia in atresia anale con enorme rigonfiamento dell’addome collegato ad estremo dimagramento , alla estroflessione rettale legata agli eccessi di colpi di tosse nelle forme respiratorie più gravi; saltuariamente , ma sempre meno frequentemente, gli errori di climatizzazione con temperature molto basse nei box ed accavallamento dei suini a riposo , con compressioni dell’addome, possono portare alla comparsa di questa patologia.
In caso di presenza di prolassi la prima verifica da fare è quella sulla qualità degli alimenti, al fine di identificare eventuali tossine : nella mia esperienza spesso la presenza di zearalenone nella razione , oltre ad evidenziare tumefazione e rossore delle vulve nelle femmine all’ingrasso, contribuisce anche a promuovere estroflessioni rettali. Vale sempre la pena anche investigare sulla presenza di farmaci o premiscele medicate sia nella razione che in acqua da bere: sappiamo come fenicoli ed amoxicillina più acido clavulanico, soprattutto in caso di sovradosaggi accidentali, favoriscano un arrossamento dello sfintere anale e qualche caso di prolasso rettale.
Errori nutrizionali così marcati da provocare una tale patologia credo non siano da prendere troppo in considerazione, a meno che non siano frutto di incidenti involontari; ma tornando a quanto accadutomi a settembre scorso mi sembra interessante esporre questa esperienza , come spunto di riflessione per chi legge e, perché no, in caso capiti che qualcuno debba approfondire questa problematica in campo.
Si trattava di un allevamento da ingrasso che acquistava soggetti attorno ai 25 kg di peso vivo, provenienti da un sito 2 attrezzato con alimentatori tipo “mangia e bevi”, che di per sé sono estremamente funzionali ad una elevata ingestione e grandi prestazioni zootecniche; entravano in un ottimo ambiente, nel rispetto degli spazi corretti per capo, venivano alimentati in mangiatoie a volontà a secco in farina, in condizioni di perfetta sanità, e successivamente venivano portati in ambienti per l’ingrasso\ finissaggio dopo una permanenza di 30\45 giorni, con accrescimenti estremamente performanti per la nostra realtà (circa un kg al giorno di incremento). Questi maiali, dopo 7\10 giorni dall’arrivo, iniziavano (tutti i lotti, indipendentemente dalla stagionalità e dal peso di entrata) a presentare estroflessioni del retto che proseguivano fino allo spostamento nella struttura da ingrasso, per cui si evidenziava una percentuale di soggetti colpiti attorno al 6%, con un costo economico insostenibile; nelle fasi successive, alimentati a bagnato ed a razione, i maiali immediatamente cessavano di presentare la problematica. Per prima cosa mi sono accertato della presenza\assenza di salmonelle e patologie respiratorie, in seguito ho analizzato i mangimi finiti autoprodotti per escludere contaminazioni da tossine. Essendo tutto negativo il passo successivo è stato quello di valutare i consumi di alimento capo giorno che in media in quella struttura superavano abbondantemente il 5% del peso vivo: evidentemente a questo punto la problematica era legata ad una sovra-alimentazione dei maiali, che una volta riportati a razione nell’altra struttura cessavano di presentare questa manifestazione patologica. Ora si trattava di capire come limitare la ingestione; allo stesso tempo questa riduzione non doveva inficiare né la omogeneità dei gruppi nei box né incidere troppo sull’accrescimento Dico subito che un aumento estremo della fibra attraverso le polpe secche (aumento di volume nello stomaco) come l’introduzione di lieviti vivi non avevano portato nessun beneficio, mentre la riduzione delle quantità giornaliere distribuite con una sua limitazione in meno di una settimana ha evidenziato una inaccettabile (ed immediata) comparsa di qualche scarto in più nei gruppi. Pensare di rendere meno gradito l’alimento mi sembrava un non senso per cui, a questo punto, prestando attenzione agli ambienti, ho notato qualcosa che mi sembrava “fuori posto” in una simile situazione: per ogni alimentatore c’erano 2 abbeveratoi a spillo e sotto una “zuppa” più che un mangime secco, con moltissima acqua nel truogolo ed i suini coricati di fronte ad esso che continuavano a mangiare senza neppure alzarsi sulle 4 gambe, ma da coricati, con nessuna minima volontà di spostarsi…
Fortunatamente sui muretti divisori erano ancora predisposti i vecchi abbeveratoi, quindi è stato sufficiente spostare le tubature dell’acqua in PVC dai ciucciotti dentro la mangiatoia a quelli vecchi attaccati al muro e, senza grandi spese , tornare a rendere il mangime “secco” , costringere i suini alla abbeverata e quindi allo spostamento verso il nuovo posizionamento degli abbeveratoi, lasciando libero il posto mangiatoia ad altri maiali . I suini senza grandi stress si sono quindi autolimitati nell’ingestione…e questa semplice soluzione ha ridotto i prolassi a meno dell’1%.
Per una soluzione chirurgica vedi invece "Prolasso del retto: quali soluzioni adottare"