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Suinicoltura + Suinicultura

Utilizzo di acidi organici nell'alimentazione del suino

(dott. Giulia Bini)

In una deliziosa cornice nel cuore della Franciacorta, Trouw Nutrition Italia ha organizzato un evento per sensibilizzare i veterinari del settore sull’utilizzo degli acidificanti nell’allevamento suino.

Negli ultimi anni il rischio legato alla diffusione dell’antibiotico resistenza e alla presenza di residui chimici nei prodotti di origine animale ha portato l’attenzione su un utilizzo sempre maggiore degli acidi organici nelle diete dei suini. Agli acidi organici sono state attribuite diverse funzioni come: attività antimicrobica, riduzione del pH delle ingesta nel tratto gastrointestinale, rallentamento del transito al fine di massimizzare la digestione e l’assorbimento dei nutrienti, induzione della secrezione e dell’attività enzimatica nel piccolo intestino e apporto di sostanze nutritive alla mucosa intestinale.

Per capire al meglio le funzioni degli acidi organici è necessario parlare prima dei microrganismi nell’intestino. Sappiamo che nel piccolo intestino sono presenti circa 1011 microrganismi, il 90% dei quali appartiene alla naturale microflora intestinale, che è in grado di inibire la colonizzazione da parte di batteri patogeni come coliformi e clostridi. Tuttavia, il tratto gastrointestinale nella sua interezza presenta una serie di condizioni ideali per la crescita di batteri patogeni: i microrganismi trovano un ambiente caldo, umido e ricco di nutrienti. I batteri patogeni possono derivare dalla contaminazione di cibo e acqua e proliferare in caso di condizioni stressanti per l’animale; un sovrannumero di questi batteri produce tossine, compromette la salute della barriera intestinale, diminuisce l’assorbimento di sostanze nutritive ed è ovviamente causa di condizioni patologiche per l’animale, soprattutto in una fase delicata come quella dello svezzamento.

Il punto fondamentale per avere una corretta digestione è la riduzione del pH all’interno dello stomaco. Nei suini la digestione delle proteine inizia a livello gastrico con l’azione della pepsina, secreta dal suo enzima precursore: il pepsinogeno. Tale conversione avviene rapidamente a pH 2 e rallenta quando il pH raggiunge 5-6. Di contro, la pepsina lavora bene in un ambiente acido con pH variabile tra 2,5 e 3,5 e la sua attività decresce rapidamente quando il pH si innalza. Nei suinetti sottoscrofa la secrezione di acidi è ridotta e la principale fonte di acidità è la fermentazione batterica del lattosio in acido lattico. Alti livelli di lattato nello stomaco vanno però ad inibire la secrezione di acido cloridrico che invece è stimolata dall’assunzione di mangime solido, estremamente scarsa nel periodo sottoscrofa. Allo svezzamento una combinazione di bassa secrezione acida, mancanza di substrato ricco di lattosio e consumo di pasti ad intervalli poco frequenti, risulta in un aumento del pH (spesso sopra a 5) che può rimanere elevato anche per diversi giorni. Un pH elevato riduce la digestione dei nutrienti che vengono utilizzati come substrato dai batteri presenti nell’intestino, causando dunque diarrea.

Ma come funzionano nello specifico questi acidi organici?

Senza ritornare alle noiose lezioni di chimica, è necessario precisare la differenza tra acido forte e debole: il primo in ambiente acquoso dissocia tutti i suoi ioni H+ mentre il secondo ne dissocia solo una parte ed in particolare, più la soluzione è acida, minore è la tendenza a dissociare; al contrario, più la soluzione è alcalina maggiore è la dissociazione. Gli acidi organici utilizzati per i nostri suini sono acidi deboli.

Foto 1: Immagine tratta da https://www.biomin.net/us/species/swine/organic-acids-for-swine/Figura 1: doppio effetto degli acidi organici (immagine tratta da https://www.biomin.net/us/species/swine/organic-acids-for-swine/)

Gli acidi organici agiscono secondo due modalità: un effetto batteriostatico dato dall’abbassamento del pH a livello gastrico (per via della dissociazione degli acidi) ed un effetto battericida dato dall’attività intracellulare della componente non dissociata degli acidi stessi (figura 1). La massima efficacia degli acidi organici si realizza quando questi si trovano equamente in forma dissociata e non dissociata (50 e 50); la forma non dissociata è importante perché è in grado di penetrare liberamente la membrana dei batteri ed una volta all’interno ne modifica il metabolismo (figura 2). A questo scopo i prodotti migliori sono quelli che contengono una miscela di diversi acidi organici; i più utilizzati sono acido formico, acetico e propionico, che sono tutti acidi grassi a corta catena. Ogni acido organico dona degli ioni di idrogeno che contribuiscono ad acidificare la soluzione; più le molecole sono piccole, più ne saranno contenute per grammo di prodotto e più alta sarà la presenza di questi ioni. È importante avere una corretta miscela di due o più acidi nello stesso prodotto perché ognuno di essi svolge in maniera distinta, in funzione delle sue caratteristiche e del pH della soluzione in cui si trova, attività battericida/batteriostatica contro microrganismi diversi.

Figura 2: immagine tratta da : https://jasbsci.biomedcentral.com/articles/10.1186/s40104-015-0042-z
Figura 2: effetto degli acidi sulla membrana batterica (immagine tratta da : https://jasbsci.biomedcentral.com/articles/10.1186/s40104-015-0042-z)

Ma cos’è esattamente che vogliamo andare a contrastare? Nel mangime e nell’acqua che forniamo ai nostri suini possono essere contenuti muffe, lieviti e diverse famiglie di batteri (quelli che causano diarrea come E.coli, Salmonella e Clostridi ma anche molti altri come Streptococco). Ognuno di essi utilizza substrati differenti e tollera range di pH diversi ma tutti quanti hanno effetti negativi sugli animali perché riducono la palatabilità del mangime (e quindi l’ingestione), abbassano il valore nutrizionale di una razione o della materia prima e potenzialmente hanno effetti tossici sui suini. Le micotossine sono quelle più tolleranti nei confronti di oscillazioni del pH mentre i batteri patogeni sopravvivono in un range che va da pH 4,5 a 8. Abbassare il pH sotto quel valore significa diminuire le possibilità di sviluppare problemi causati da questi microrganismi. Più difficile da pensare ma anche l’acqua e le tubature che la trasportano possono essere fonte di contaminazione a causa del biofilm, ovvero uno strato che si crea all’interno dei condotti e che favorisce la crescita batterica, oltre a potenzialmente ostruire gli impianti e gli abbeveratoi.

Gli acidificanti possono essere utilizzati sia nell’acqua di abbeverata che nel mangime liquido. L’utilizzo nell’acqua permette di abbassare e contemporaneamente stabilizzarne il pH. Anche per l’acidificazione dell’acqua vale il discorso precedente, ovvero mantenere una quota di acidi in forma dissociata e una quota non dissociata in modo che il duplice effetto di manifesti. Ad un pH di 3,8 i tre acidi organici maggiormente implicati si trovano in percentuali adeguate alla loro attività e lavorano al meglio.

Prima di stabilire il dosaggio va sempre controllata la durezza dell’acqua!

Se nel nostro allevamento utilizziamo già la pratica di clorazione dell’acqua non è un problema, si può comunque aggiungere il prodotto acidificante perché fra i due esiste una sorta di simbiosi: il cloro ha già di per sé un effetto battericida, lavora molto meglio in ambiente acido e preserva gli acidi che possono concludere il meccanismo d’azione penetrando nei batteri patogeni.

Per quanto riguarda invece il mangime liquido, il problema principale nella sua conservazione è lo sviluppo di lieviti che convertono gli zuccheri e l’amido in anidride carbonica. Questo causa una perdita del valore nutrizionale dell’alimento, una diminuzione della palatabilità, può avere effetti dannosi sugli animali (aumentare la mortalità per fermentazioni intestinali, i classici “maiali scoppiati” che di tanto in tanto ritroviamo nei nostri ingrassi) o anche danneggiare gli impianti sempre a causa della produzione di gas. Il fulcro del problema dell’alimentazione liquida è il residuo di broda che resta all’interno delle tubature e delle cisterne di preparazione fra un pasto e l’altro. Questo residua causa fermentazioni e proliferazione di microrganismi. Bisogna minimizzare la presenza di questo residuo, prevenendo anche il più possibile la miscelazione di prodotto fresco a quello dei pasti precedenti. Si possono utilizzare vasche di recupero o sistemi che miscelino spesso il residuo in modo che fermenti il meno possibile. Un discorso a parte va fatto per il siero che, grazie alla presenza di lattosio, ha già una sua acidificazione intrinseca grazie alla trasformazione in acido lattico. Per il siero è invece un bene aggiungerne di fresco in modo che i batteri lattici abbiano un substrato su cui lavorare, impedendo la proliferazione di lieviti.

L’utilizzo di acidificanti si deve sempre accompagnare a buone pratiche gestionali dell’azienda ma è un supporto valido e sempre più utilizzato per contrastare l’insorgenza di numerosi problemi e migliorare le performance degli animali. Soprattutto in questa nuova era senza più l’ausilio dell’ossido di zinco per prevenire la diarrea nei nostri svezzamenti diventeranno degli alleati fondamentali!