Non so se sia un caso, ma ultimamente nell’ambito delle mie visite in allevamento, tra l’altro in diverse zone del nord Italia ed indipendentemente  dalle razze di riproduttori,  mi sto trovando di fronte a numerosi casi di enterite neonatale, con una diarrea  verdastra che compare attorno ai tre giorni di vita e che fatica a scomparire  con l’utilizzo delle solite terapie iniettive sia sulle  scrofe che sui suinetti.  In qualche caso la mortalità può coinvolgere la nidiata con picchi fino al 50% ed oltre, e non esiste nessun intervento nutrizionale “classico” ( come una acidificazione della dieta delle scrofe ) che possa apportare alcun beneficio. Approfondendo le indagini diagnostiche ed una volta escluso il coinvolgimento di rota e coronavirus, in tutti i casi in cui né antibiotici anti Gram negativi piuttosto che vaccinazioni eseguite prima del parto secondo i classici schemi terapeutici per il controllo dell’E. Coli  si fossero rivelate efficaci, è stato spesso isolato il  Clostridium Perfringens tipo A. Questo germe rappresenta una vera jattura in quanto non è previsto in nessun tipo di vaccino del commercio (infatti questi presidi immunogeni sono basati prevalentemente sul Clostridium Perfringens tipo C, responsabile della enterite emorragica neonatale; patologia molto diffusa all’estero e poco in Italia, tanto più che in più di 30 anni di carriera l’ho incrociata solo due volte…).

Esiste anche un’altra versione nella manifestazione di questa patologia, più subdola e meno facilmente identificabile come agente eziologico in quanto il primo sospetto è quello di agalassia della scrofa e non si pensa minimamente ad un infezione che colpisce il suinetto: anche in questo caso la mortalità dalla terza giornata in poi è variabile, ma la clinica è caratterizzata da una  totale assenza di diarrea. I suinetti colpiti  presentano un dimagramento rapidissimo che immediatamente può far pensare ad una mancata ingestione di latte , quindi ad una grave agalassia della scrofa;  i soggetti infatti si presentano con la tipica schiena che evidenzia il rachide , tipico di animali che non si alimentano da almeno 48 ore; in realtà invece all’esame necroscopico lo stomaco si presenta repleto di latte cagliato ed il mesocolon presenta il tipico edema del mesentere (vedi foto).

 Stomaco repleto di latte cagliato e mesocolon con tipico edema del mesentereStomaco repleto di latte cagliato e mesocolon con tipico edema del mesentere

 

Se ci soffermiamo a ragionare un attimo, come è possibile che, anche in allevamenti con rimonta interna, senza introduzione di nuovi soggetti dall’esterno,  improvvisamente esplodano  casi come quelli sopra descritti? Evidentemente esiste una implicazione alimentare  che può riguardare l’acqua (in uno dei casi del Clostridium tipo C che ho rammentato più sopra la causa veniva da una contaminazione dell’impianto di abbeverata) oppure il mangime, a meno che le scrofe non siano outdoor... A questo punto, visto che si tratta di una pagina di alimentazione, veniamo  alla gestione   alimentare prendendo in considerazione ciò che possa condizionare un aumento o una riduzione della espressione di questa così grave patologia. Premetto che io ho da tempo una teoria, tra l’altro ipotizzata  anche da un lavoro presentato allo scorso ESPHM di Dublino, che prende in considerazione la contaminazione tellurica di alcune colture quali l’orzo od il frumento: questi cereali, una volta allettati ed in seguito raccolti,  alla trebbiatura  si caricherebbero di polvere e terra che, soprattutto in caso di fertilizzazione con liquame bovino ricco di Clostridi, contaminerebbero le granaglie con grandi quantità di spore. Faccio notare anche che in  un caso in particolare si è manifestata la forma enterica classica con isolamento di  Clostridium Perfringens tipo A dopo l’introduzione di fieno di medica nella alimentazione delle scrofe gestanti, e si conosce perfettamente quanto la medica sia facilmente contaminata da silice, indice di presenza terra nell’alimento; in quel concentrato industriale su 13 punti percentuali di ceneri, 2 erano di ceneri insolubili in acido cloridrico, quindi  terra. Ricordo anche che in una azienda di tori e suini, dove si raccoglieva il mais per la produzione di pastone umido ed il terreno era fertilizzato con i liquami dei tori da carne, mi trovai ad avere a che fare con un caso gravissimo di mortalità da Clostridi che colpiva non solo i suini ma anche i tori stessi: una volta sospeso il pastone ed introdotto mais secco (acquistato!) nella dieta  il problema è sparito.

Descritto il problema ed espressa la ipotesi di una causa alimentare  non resta che ragionare su come intervenire per fermare la mortalità e ridurre i danni: sappiamo bene che esistono dei trattamenti terapeutici che possono migliorare la situazione (tilosina alla nascita piuttosto che clortetraciclina nelle ultime settimane di  gestazione) ma vi posso assicurare che, anche in caso di apparente efficacia all’inizio dei cicli terapeutici, l’antibiotico non è la soluzione ottimale né tantomeno definitiva, visto oltretutto quanto sta venendo avanti come linee guida per un uso prudente degli antibiotici. Il concetto fondamentale è quello di “riseminare” il tratto intestinale della scrofa o comunque fare in modo di cambiare il microbiota intestinale del riproduttore, introducendo nella dieta di gestazione e lattazione spore di batteri  che siano in competizione con i Clostridi piuttosto che lieviti specifici che contribuiscono a promuovere la crescita di specie batteriche competitive, il tutto anche introducendo una base alimentare che favorisca fermentazioni nel cieco colon che facilitino appunto la proliferazione di ceppi batterici antagonisti ai Clostridi stessi. I tempi di “risemina” e di ripristino dell’equilibrio della flora microbica intestinale non sono così brevi ma vi posso assicurare che lavorando correttamente in 4\6 settimane i primi risultati arrivano: infatti poche ore dopo la nascita il suinetto modifica la propria flora intestinale da una composizione che riflette quella del canale del parto a quella uguale alla composizione della flora del tubo gastroenterico della scrofa, per cui, nel bene e nel male, lavorando (o non lavorando) sulla alimentazione della scrofa condizioniamo il microbiota del suinetto.

Dimenticavo, in uno dei casi sopra citati abbiamo provato a cambiare il fornitore di cereali prima di intervenire con additivi alimentari e nel giro di poco tempo i sintomi non sono spariti del tutto ma hanno mostrato una discreta riduzione…quanti sono gli allevatori o i produttori di mangime che nel controllo routinario delle materie prime prevedono la misurazione delle ceneri insolubili in acido cloridrico? Magari possiamo cominciare a pensarci.