(Dott. Claudio Mazzoni)

I medici nulla potevano, per fronteggiare questo morbo ignoto, che tentavano di curare per la prima volta, ma morivano più degli altri, in quanto più (degli altri) si avvicinavano (ai malati), né serviva nessun altra tecnica umana... La natura del male infatti, che era superiore ad ogni (possibilità di) descrizione, colpiva ciascuno più violentemente di quanto la natura umana potesse sopportare... Alcuni morivano per trascuratezza, altri del tutto curati… Per quanto si formulassero suppliche nei templi o si ricorresse agli oracoli e a cose del genere, tutto si rivelò inutile, alla fine rinunciarono a questi tentativi, vinti dal morbo funesto… e oltre al male già esistente li opprimeva per di più l’afflusso di corpi nella città e soprattutto (opprimeva) quelli appena arrivati… Furono sconvolte tutte le usanze delle quali si servivano in precedenza riguardo alla sepoltura e seppellivano (i corpi) ciascuna come poteva”.


Fig.1 Tucidide

Fig. 2 Henry Jacob Bigelow

Potrebbe sembrare un pezzo scritto da qualche forbito giornalista del futuro, facente riferimento all’incredibile pandemia da CoVid-19 che stiamo vivendo ai nostri giorni, invece è un estratto della Peste di Atene, di un poco più che trentenne Tucidide, redatto niente poco di meno che 2.450 anni fa durante la Guerra del Peloponneso. Nello scritto dello storico Ateniese, possiamo rivivere le stesse ansie e difficoltà del nostro tempo, quasi come se circa 2.500 anni di evoluzione della nostra specie, non siano serviti ad impedire, o quantomeno a prevedere, il verificarsi di eventi così clamorosi. Certamente da allora la medicina ha fatto passi importanti ed il nostro “dottore” ha un profilo piuttosto diverso dallo iatros ateniese che, grazie ad Ippocrate, muoveva i suoi primi passi nelle techne iatrike, letteralmente nell’arte della cura, in grado di proporsi come alternativa non fallimentare all’imperante therapeia theon, ovvero la cura degli dei, nella tutela della salute degli uomini, creando così le basi della medicina moderna.

Rispetto allo scritto di Tucidide è possibile ritrovarsi in tante cose, forse davvero troppe: i medici in prima linea che muoiono per aver contratto il morbo dai malati nell’atto di prendersi cura di loro, l’impotenza delle cure offerte, il sovraffollamento dei malati con l’inevitabile possibilità che taluni vengano trascurati, gli accorati appelli dei famigliari alle divinità del tempo.

Quella che però colpisce di più è la gestione dei deceduti ed in particolare “Furono sconvolte tutte le usanze delle quali si servivano in precedenza riguardo alla sepoltura”. Trovo estremamente diretto ed efficace il modo con cui viene descritto questo momento da Tucidide, perché è proprio di questo che si tratta, uno sconvolgimento totale, non tanto per chi trapassa, ma per chi rimane. Non avere la possibilità di trascorrere gli ultimi momenti di vita terrena con il proprio caro o cara è una cosa dolorosissima per chi resta. Infatti per evitare ulteriori contagi, i malati gravi oggi sono in rigoroso isolamento e, non potendo essere mai visti dai parenti, lasciano in loro uno straziante sentimento di impotenza o quantomeno la impossibilità di poter dire un ultimo grazie per aver condiviso la vita fino a quel momento.

Grande differenza con il passato è la terapia del dolore che, mentre vi scrivo, in molti dei nostri ospedali medici abnegati, ma ormai frustrati ed allo stremo delle loro risorse fisiche e mentali, stanno applicando. Forse l’unica consolazione per chi resta è che, grazie a questo approccio terapeutico, almeno il proprio caro non abbia sofferto tanto, o così si spera. In effetti è una consolazione, seppur amara, dal momento che "la morte non è nulla, ma il dolore è una faccenda molto seria" citava H.J. Bigelow, uno dei padri dell’anestesia nel 1871.

Insomma, è una storia che si ripete, si è ripetuta e, credo proprio, si ripeterà in futuro e forse anche più di frequente di quello che pensiamo. Effettivamente era abbastanza inimmaginabile trovarsi allo stato attuale, o meglio per farlo bisognava rifarsi a taluni maestri della cinematografia contemporanea come Wolfgang Petersen che, in una nota pellicola del 1995 “Virus letale”, ben inscenava il quadro che nella realtà stiamo vivendo. Probabilmente la millenaria assenza di predatori naturali ci ha fatto pensare di essere invincibili e ci ha fatto perdere quel senso di angoscia nella vita quotidiana che i nostri antenati avevano mentre venivano predati dalla tigre dai denti a sciabola. Nel corso dell’evoluzione ci siamo adattati al meglio ed abbiamo raggiunto il nostro equilibrio con il pianeta, imponendogli la nostra presenza. La capacità della specie umana di adattamento alla terra ha alimentato la nostra presunzione che fossimo davvero i padroni del mondo, e così l’abbiamo “infestato”. Ci siamo talmente ben adattati al cambiamento da moltiplicarci a dismisura, nel 1969 eravamo 2 miliardi di persone ed oggi siamo 7,3 miliardi. Tuttavia la nostra presunzione di essere la specie eletta come specie dominante ci ha impedito di capire che forse ora è il pianeta che non è più in equilibrio con noi e quindi ha mandato avanti il suo più formidabile dei guerrieri, che altri non è se non la “natura”, per ristabilire il Suo equilibrio che è quello che conta davvero per la sopravvivenza della stessa Terra. L’ironia della sorte vuole che i latini con il termine medietas, intendessero il ”giusto mezzo” ovvero il luogo dell’equilibrio, ed è interessante osservare come da questo termine abbiano poi fatto derivare il termine di medicina. Questo proprio perché la salute veniva considerata come un’armonia, come la giusta misura per l’appunto!

Paragoniamo così quello che ci sta accadendo a quello che accade nel mondo animale, con cui condividiamo la vita su questo pianeta e da cui abbiamo smesso di imparare da troppo tempo. La prima cosa che viene in mente è quello che abbiamo visto nelle colonie feline o nei canili, quando il numero degli animali raggiunge il limite, una sorta di soglia oltre la quale l’equilibrio fra ambiente ed animali non è più tollerabile, se non altro per le risorse alimentari o di spazio vitale. Ecco che allora compare un sopito parvovirus, od un fastidioso calicivirus che, sterminando gli animali più deboli o geneticamente più vulnerabili, ripristina quell’equilibrio perturbato fra i due mondi. E ancora! per chi di voi che, come me, lavora in mezzo agli animali da reddito, risulta superfluo ricordare cosa succede col sopraffollamento, nel momento in cui la densità animale rispetto all’ambiente è troppo elevata e lo rimane per troppo tempo. Spesso anche il più banale fra i microrganismi riacquista la sua originale patogenicità e ripristina così, in modo a volte anche drammatico, l’equilibrio fra ambiente ed animali. Insomma, possiamo semplicemente parlare di selezione naturale! E non è forse questo quello che stiamo vivendo e che hanno vissuto i nostri avi da anche prima di Tucidide fino ai giorni nostri? Inoltre la natura ha iniziato con un certo “garbo”, una sorta di avvertimento che ci ha messo di fronte un virus piuttosto selettivo in grado di colpire prevalentemente le frange più deboli della nostra specie, anziani ed ammalati per l'appunto.

Certamente i più filantropi fra voi sosterranno che la nostra specie non può essere paragonata ad un branco di cani o ad un gregge, inorridendo così alle dichiarazioni della prima ora del premier britannico Boris Johnson, che confidava in una veloce istaurazione di immunità di gregge per contrastare l’avanzata del CoVid-19, ma sfortunatamente per la natura è così! Questo perché viviamo sulla terra tutti assieme, dove siamo una specie come tante altre. Ci siamo solo illusi di non esserlo, o meglio la nostra presunzione ed il nostro benessere, inteso come assenza di predatori, ci ha portato a ritenerlo, ma la natura, nel tentativo di ripristinare i suoi equilibri, ci ha riportato con i piedi per terra!

Questi colpi decisivi alla nostra presunzione ed al nostro orgoglio immeritato di specie dominante del pianeta devono lasciare, e lasceranno senza dubbio, una scia di umanità che, come nella più tipica delle tradizioni della nostra specie, ci stringerà assieme. La speranza è quella di superare così alcune barriere che tanto inutilmente ci siamo creati nel tempo come il razzismo ed i conflitti di ogni genere, assolutamente un’inezia di fronte agli equilibri della natura, vera sfida a cui dobbiamo guardare, con sempre maggiore attenzione, per la salvezza della nostra specie.

Mi piace concludere questa lettera parafrasando il contenuto di un video divulgato da radio 105 di qualche settimana fa, che sia di buon auspicio, in cui si guardano gli avvenimenti dalla prospettiva del virus CoViD-19 e non quindi dalla nostra: “... Ho voluto fermare tutto apposta perché capiate che l’unica cosa importante verso cui indirizzare le vostre energie è La Vita, la vostra e quella dei vostri figli e a ciò che è veramente necessario per proteggerla. Vi ho voluto il più possibile rinchiusi ed isolati nelle vostre case, lontano dai vostri nonni, figli o genitori perché capiate quanto sia importante un abbraccio, il contatto umano, il dialogo o una stretta di mano. Da questi gesti deve ripartire tutto... Siete tutti uguali… non fate distinzioni fra voi… Io sono di passaggio, ma i sentimenti di vicinanza e collaborazione che ho creato fra di voi in pochissimo tempo dovranno durare in eterno. Vivete le vostre vite il più semplicemente possibile, fate del bene... Quando voi festeggerete, io me ne sarò appena andato! Ma ricordatevi di non cercare di essere persone migliori soltanto in mia presenza. Addio!” CoViD-19