(Dott. Claudio Mazzoni/Dott.ssa Lucia Tagliaferri)
La sindrome degli scoli vulvari (SSV) è una delle più insidiose e complesse patologie zootecniche dei nostri tempi la cui espressione clinica, rappresentata dallo scolo vulvare, è solo la punta dell’iceberg. Ecco perché è fondamentale trovare l’origine del problema, comprenderne le cause, ma soprattutto identificarne i fattori di rischio col fine di correggerli.
Il ruolo di questa sindrome relativamente al danno economico è piuttosto variabile portando, ancora una volta, alla ribalta il concetto di “fattore aziendale”, ovvero la maggiore incidenza della problematica in un’azienda piuttosto che in un’altra.
Gli scoli vulvari che normalmente siamo abituati ad osservare interessano nella maggioranza dei casi 3 fasi della vita zootecnica delle scrofe:
- Subito dopo il parto (a volte anche durante la prima parte della lattazione);
- All’atto dell’inseminazione;
- Dopo circa 14 giorni dalla fecondazione stessa.
Vediamo però di capire quali scoli possono essere considerati problematici e quali no (Tabella 1).
Nei giorni immediatamente successivi al parto (1-4 giorni), la presenza di uno scolo vulvare non deve essere considerata come un evento anomalo poiché la regressione dell’utero dopo il secondamento della placenta è un evento accompagnato dall’espulsione fisiologica di liquidi.
Così anche per l’atto fecondativo, il muco secreto dall’utero durante la fase centrale dell’estro, avente funzione protettiva e lubrificante, può fuoriuscire abbondante nelle ore successive e fino a 5 giorni dopo la copertura, senza destare particolare preoccupazione.
Diversa è la situazione se lo scolo compare oltre il 4° giorno dal parto oppure a partire da circa il 14° giorno post inseminazione. In questo caso può essere considerato anomalo e, soprattutto se abbondante, di origine uterina (metrite). Possiamo dire che questo scolo “può” e non “deve” essere considerato anomalo. Infatti dobbiamo distinguerlo dalle infezioni della vescica (cistiti) piuttosto che dalle infezioni del primo tratto dell’apparato riproduttore (vaginiti) e la cosa non è molto semplice senza l’ausilio di un ecografo. Questi scoli possono avere caratteristiche del tutto simili e un aiuto importante per diagnosticare questa differenza è solitamente, anche se non sempre, rappresentato dal volume dello scolo (di solito più abbondante se proviene dall’utero) e dalle sue caratteristiche organiche ossia il colore, la densità e, in taluni casi, l’odore. In effetti una metrite si presenta con sfumature che vanno dal bianco al giallo fino a divenire marroni nei casi più gravi, con una consistenza cremosa ed in alcuni casi odore di marcio.
Mentre lo scolo dopo il 4°giorno dal parto viene abbastanza intuitivo collegarlo ad un’infezione che si è sviluppata per una problematica legata al parto stesso (ritenzione placentare o fetale), nel secondo caso il problema compare proprio dopo il 14° giorno dalla fecondazione perché è da questo momento che l’apparato riproduttore va incontro a quelle modifiche che lo prepareranno al nuovo accoppiamento. È a questo livello infatti che la cervice comincia gradualmente ad aprirsi per raggiungere il suo massimo in prossimità dell’estro permettendo così la deposizione del materiale seminale all’interno dell’utero.
In merito alle cause, vengono presi in considerazione i più svariati agenti patogeni, che per poter svolgere la loro azione hanno bisogno di un fattore scatenante. Non è certamente facile trovare nel panorama dei disturbi riproduttivi della scrofa un’altra patologia in grado di coinvolgere così tanti fattori diversi, tra cui i più importanti sono quelli manageriali e quelli legati alla scrofa (Tabella 2), che affronteremo nel dettaglio prossimamente.
La difficoltà maggiore di chi cerca di diagnosticare la SSV è proprio quella di riuscire ad individuare quale sia il “peso” dei singoli fattori in gioco, anche perché molto spesso sono comunque presenti, ma non sempre sono sufficienti per manifestare la clinica della sindrome.