Fra le attività svolte in sala parto, ce n’è una che ha delle importanti, quanto spesso sottovalutate, ripercussioni sullo svezzamento. Mi riferisco all’intervallo svezzamento-calore delle scrofe ed in particolare alla venuta in calore delle scrofe più giovani, primipare soprattutto. Nei mesi estivi, più frequentemente di quanto non accada nei mesi invernali, capita che numerose primipare allo svezzamento non manifestino il calore entro i 5-7 giorni dallo stesso, così come abitualmente si verifica nelle altre stagioni dell’anno. Come ormai risaputo, si tratta di una delle più importanti conseguenze dell’infertilità estiva (SIC) e, in alcune realtà, rappresenta un vero e proprio problema risolvibile, comunque solo in parte, con la somministrazione di gonadotropine iniettabili allo svezzamento in grado di stimolare la venuta in calore dell’animale.
Lo svezzamento frazionato consiste nello svezzare i suinetti più pesanti di una covata alcuni giorni prima dello svezzamento effettivo della totalità della covata (immagine sottostante). Questa pratica ha il compito di migliorare le prestazioni delle scrofe nell’ambito dell’intervallo svezzamento calore, nel senso sia di favorirne la venuta in calore con una conseguente riduzione dei giorni improduttivi, molto importanti per calcolare correttamente il numero di parti per scrofa per anno, ma anche nel migliorare la distribuzione sui giorni di venuta in calore. Infatti è ben noto che i calori fra il 6° ed il 12° giorno dallo svezzamento siano ad alto rischio di bassa fertilità, per cui anche lo spostamento di una parte di questi calori verso il 4°-5° giorno post svezzamento rappresentano un traguardo importante da raggiungere.
L’efficacia di questa pratica è piuttosto controversa a livello di letteratura internazionale, tuttavia lavori promettenti, peraltro a firma italiana (Tarocco et al. 2000), sembrano dare riscontri positivi purché applicati, come sempre, con metodo ed attenzione.
Il presente lavoro ricavato da una grossa raccolta dati proveniente da 181 scrofette e 759 pluripare svezzate nell’arco di 18 mesi con una lattazione media di circa 26 giorni, ha dimostrato che svezzando i suinetti più pesanti fra i 6 ed i 7 giorni prima dei fratelli, lasciando sotto scrofa dai 5 ai 7 suinetti fino al giorno dello svezzamento effettivo, un maggior numero di scrofe veniva fecondato al 5° giorno dallo svezzamento rispetto al gruppo controllo, dove la svezzata era unica e a fine lattazione (vedi tabella 1).
Primipare |
ISC (gg) |
<4° giorno |
4° giorno |
5° giorno |
Messa in parto |
Svezz 7 gg prima |
5.0±0.3a |
6.3% |
41.3% |
79.4% |
90.5% |
Controllo |
6.0±0.3 |
6.3% |
13.9% |
62.5% |
77.8% |
Pluripare |
ISC (gg) |
<4° giorno |
4° giorno |
5° giorno |
Messa in parto |
Svezz 6 gg prima |
4.6±0.2 a |
6.8% a |
47.5% |
89.3% |
81.9% |
Svezz 7 gg prima |
5.0±0.2 |
3.3% |
46.2% |
82.8% |
87.5% |
Controllo |
5.4±0.2 |
2.6% |
25.9% |
74.6% |
81.5% |
Tabella 1: confronto relativo allo svezzamento frazionato per primipare e pluripare con i relativi gruppi controllo svezzati a termine. A lettere diverse corrispondono differenze statistiche significative (Tarocco et al., 2000-modificata)
Più nello specifico, da questi risultati si evidenzia che un maggior numero di scrofette, sottoposte a svezzamento frazionato 7 gironi prima dello svezzamento effettivo, veniva in calore al 5° giorno dallo svezzamento, oltre che avere una migliore messa in parto, rispetto alle scrofette del gruppo controllo. Così come analoghi risultati si osservarono sulle pluripare appartenenti al gruppo dello svezzamento frazionato dei 7, ma anche dei 6 giorni, rispetto al proprio gruppo di controllo.
La spiegazione a questi risultati è da ricercare nel fatto che, riducendo l’intensità di suzione del latte da parte dei suinetti, attraverso un loro parziale ed anticipato allontanamento, si innalzano più velocemente le concentrazioni di gonadotropine nel sangue, prodotte dalla stessa scrofa, che permettono a loro volta di incrementare lo sviluppo dei follicoli ovarici.
Un ulteriore vantaggio si dovrebbe evidenziare anche sui suinetti rimasti sottoscrofa, dato che possono recuperare rispetto ai fratelli più vigorosi già svezzati. Ad ogni buon conto, la produzione di latte da parte della scrofa è certamente minore, rispetto a quella necessaria qualora tutta la covata fosse presente, ottenendo così il risultato di una minore perdita di condizione corporea da parte della madre, per la quale viceversa si prospetta un più probabile recupero. Quest’ultimo aspetto legato al metabolismo dell’animale, in associazione all’effetto ormonale precedentemente menzionato, sono i meccanismi ritenuti alla base del miglioramento delle performance zootecniche potenzialmente ottenibili attraverso questa pratica zootecnica.
Per avere successo con lo svezzamento frazionato sembra però veramente necessario effettuarlo 7 giorni prima per le scrofette e 6 giorni prima per le pluripare, dello svezzamento totale. Infatti altre prove di campo che hanno accorciato questo tempo fino a 3 giorni, con uno svezzamento totale massimo a 21 giorni, non hanno riscosso lo stesso successo, anzi! (Wellen et al., 2006). Quindi bisogna lavorare sul tempo.
Quest’ultima prova lascia il campo ad un’importante considerazione, ovvero l’età allo svezzamento. Lo split weaning, se applicato correttamente in aziende che svezzano attorno ai 21 giorni di vita, costringe a svezzare alcuni suinetti a minimo 14-15 giorni. Certo si tratta dei soggetti più grossi e quindi con elevate probabilità di successo, anche alla luce degli innumerevoli, quanto sempre più completi, mangimi sottoscrofa oggi presenti sul mercato. Rimane comunque la difficoltà relativa al loro collocamento in azienda ove non siano presenti reparti adatti allo scopo.
Situazione ben diversa si ha nelle aziende dove lo svezzamento è effettuato attorno ai 26-28 giorni, che permettono di eseguire lo svezzamento frazionato attorno ai 21 giorni con suinetti decisamente più grandi e quindi più facilmente gestibili.
Tuttavia lo svezzamento frazionato, affinato azienda per azienda, sembra dimostrare grandi potenzialità per fronteggiare le problematiche relative all’ipofertilità estiva, soprattutto sulle scrofette, offrendosi come valida alternativa alle, senza dubbio efficaci, ma certamente più costose, vie farmacologiche.