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Suinicoltura + Suinicultura

Un nuovo circovirus porcino associato alla sindrome dermatite – nefrite

(dott. Irene Cucco)

Tratto da: Palinski R., Piñeyro P., Shang P., Yuan F., Guo R., Fang Y., Byers E., Hause B. M. “A Novel Porcine Circovirus Distantly Related to Known Circoviruses Is Associated with Porcine Dermatitis and Nephropathy Syndrome and Reproductive Failure”, Journal of Virology, 91(1), 2017.

Nella famiglia Circoviridae troviamo numerosi circovirus, isolati in molte specie animali, tra cui mammiferi, uccelli e perfino insetti. Nel suino sono state descritte due specie di circovirus, il circovirus porcino di tipo 1 (PCV1) e il circovirus porcino di tipo 2 (PCV2). Mentre PCV1 non è considerato patogeno per il suino, PCV2 è invece associato a numerose manifestazioni cliniche ed è un virus ubiquitario di grande rilevanza economica. I primi casi di infezione da PCV2, risalenti agli anni ’90, erano associati ad una grave clinica da dimagramento nota con l’acronimo di PMWS (post-weaning multisystemic wasting syndrome). Nel tempo, questo virus è stato correlato anche a problematiche respiratorie, riproduttive, e ad una manifestazione clinica particolare, la sindrome dermatite – nefrite (PDNS).

PDNS-rene

Foto a lato: La PDNS è caratterizzata clinicamente dalla comparsa di macule e papule cutanee rosso – violacee ben demarcate. All’ispezione anatomo patologica degli animali colpiti, i reni appaiono spesso aumentati di volume, pallidi, con numerose petecchie corticali. Istologicamente, questa sindrome è caratterizzata dalla presenza di vasculite necrotizzante sistemica, glomerulite e nefrite interstiziale. La patogenesi non è ancora del tutto nota, ma si pensa che possa essere una patologia immunomediata, causata dalla deposizione di immunocomplessi. Sebbene la prevalenza di questa patologia in una scrofaia sia tipicamente bassa, inferiore all’1%, la mortalità dei suini affetti può essere molto alta.

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L’articolo descrive un focolaio di PDNS, associato a problematiche riproduttive, insorto nel giugno del 2015 in una scrofaia in Nord Carolina e il processo diagnostico che ha portato alla scoperta di un nuovo circovirus, il circovirus porcino di tipo 3 (PCV3). Nel caso riportato in questo studio, si è verificato un aumento del 10.2% del tasso di mortalità delle scrofe e una riduzione del 0.6% del tasso di concepimento, rispetto agli storici aziendali. Clinicamente, le scrofe colpite hanno mostrato anoressia e multifocali papule e macule cutanee, associate a dermatite superficiale, riferibili alla PDNS. Durante il focolaio, l’azienda ha inoltre registrato un incremento dell’1.19% dei mummificati, che si presentavano a diversi stadi di maturazione.

Istologicamente, nelle lesioni cutanee è stata riscontrata dermatite necrotica ed epidermite, associata a manicotti linfoplasmatici perivascolari. Nei reni, i tubuli corticali sono apparsi dilatati e l’interstizio e i glomeruli diffusamente infiltrati di linfociti e macrofagi. Sorprendentemente però, tutti i campioni tissutali prelevati dalle scrofe, inclusi reni, linfonodi, polmoni, e cute sono risultati negativi alle analisi immunoistochimiche (IHC) e alla qPCR per PCV2, PRRSV, e influenza A.

Anche le analisi eseguite sui feti mummificati abortiti hanno dato esito negativo per PCV2, PRRS e PPV alla qPCR.

A questo punto, da tre feti mummificati è stato preparato un omogenato tissutale, che è stato utilizzato per le analisi metagenomiche, che permettono di studiare un insieme di sequenze di DNA provenienti da diversi microrganismi, difficili o impossibili da coltivare. Dal sequenziamento metagenomico è stato isolato solamente un virus. L’analisi del suo genoma e il confronto con altri virus della famiglia Circoviridae hanno portato gli autori a proporre la denominazione di PCV3.

Le analisi filogenetiche, che permettono di riscostruire un “albero” evolutivo dei vari microrganismi viventi, hanno individuato il PCV3 in un “ramo” più vicino a quello del circovirus canino (CanineCV), separato e più distante dai “rami” in cui si trovano PCV1 e PCV2. Questo può suggerire che PCV3 e CanineCV possano essersi evoluti a partire da un antenato comune, appartenente allo stesso gruppo in cui si trovano PCV1, PCV2 e un circovirus del pipistrello (BatCV-2).

Dopo lo studio del genoma, la presenza di PCV3 è stata successivamente confermata con una specifica qPCR. I tessuti fetali sono risultati avere cariche virali molto alte, approssimativamente tra 1.88 x 108 e 7.55 x 106 copie di genoma (gc)/ml. Studi precedenti hanno dimostrato un’associazione tra disordini riproduttivi e cariche virali di PCV2 superiori a 107 copie di DNA/500 ng di tessuto fetale. Sulla base della quantità di acido nucleico di PCV3 riscontrato, gli autori hanno quindi ipotizzato una correlazione simile anche per PCV3.

Il sequenziamento metagenomico è stato eseguito anche da un pool tissutale proveniente da 3 scrofe morte con segni clinici riferibili alla PDNS. Da queste analisi è stato isolato sia il PCV3, con titoli virali compresi tra 2.13 x 104 e 8.62 x 104 gc/ml, sia un virus ubiquitario nei suini, il torque teno virus 1 (TTV1). Il significato clinico di TTV1 è per lo più sconosciuto, ma questo virus è comunemente riscontrato in animali sani. Tuttavia, molti studi suggeriscono che possa giocare un ruolo importante in caso di coinfezioni. Ad esempio, la PDNS è stata riprodotta sperimentalmente con successo in assenza di PCV2, inoculando il PRRSV e il TTV. Inoltre, la coinfezione sperimentale con TTV e PCV2 ha portato all’insorgenza di PMWS, mentre la monoinfezione no. Purtroppo, non è ancora chiaro se TTV possa influenzare lo sviluppo della PDNS in caso di coinfezioni da PCV2 e PCV3.

I campioni tissutali prelevati dalle scrofe con PDNS sono stati sottoposti nuovamente all’esame istologico e all’IHC, utilizzando degli anticorpi monoclonali marcati, rivolti verso PCV3. Le sezioni di cute hanno mostrato vasculite necrotizzante associata a dermatite con infiltrazione linfoide. Nei linfonodi è stata riscontrata linfoadenite granulomatosa diffusa, mentre nei reni è stata evidenziata glomerulonefrite membrano-proliferativa diffusa. In tutti gli organi analizzati sono state riscontrate positività intracitoplasmatiche verso PCV3 nei linfociti.

Questi esiti suggeriscono che l’infezione da PCV3 possa contribuire alla genesi di lesioni riferibili alla PDNS, e che la presenza di PCV3 nei feti mummificati sia il risultato di una trasmissione verticale del virus. Per supportare questa tesi è stato eseguito anche uno studio retrospettivo su 48 casi di PDNS risultati negativi all’IHC per il PCV2. Quarantacinque (93.8%) di questi sono risultati positivi alla qPCR per il PCV3, con titoli virali da 1.60 x 104 fino a 3.47 x 104 gc/ml. Cinque dei campioni positivi alla PCR sono stati anche esaminati all’IHC e tre sono risultati positivi al PCV3. Gli autori riportano però che i titoli relativamente bassi di PCV3 possono limitare il rilevamento del virus nei tessuti.

È stata inoltre indagata la sieroprevalenza di anticorpi rivolti verso PCV3 in 10 scrofe dell’azienda colpita, a distanza di circa 3 mesi dall’insorgenza del focolaio, mediante test ELISA. Oltre alle scrofe, sono state prelevate anche 27 scrofette dell’allevamento che fornisce la rimonta alla scrofaia colpita. Tutte le scrofe e 17 scrofette sono risultate positive. Quindi, per valutare anche la sieroprevalenza di PCV3 negli altri allevamenti, sono stati testati 83 campioni casuali provenienti da varie parti degli Stati Uniti. Quarantasette di questi sono risultati positivi (56.6%), dimostrando quindi un’ampia diffusione del virus sul territorio.

 

In conclusione, non è chiaro se PCV3 si sia evoluto e diffuso nella popolazione suina in maniera silente, se abbia compiuto un salto di specie o se si sia originato da una ricombinazione tra circovirus parentali non identificati. Tuttavia, studi retrospettivi suggeriscono che PCV2 avesse già causato occasionalmente patologie sistemiche fin dal 1985, prima di diventare epidemico verso la fine degli anni ’90. La possibilità che anche PCV3 possa compiere un simile percorso non è da sottovalutare, come da non sottovalutare è anche la somiglianza del solo 30% tra le proteine del capside del PCV2 e PCV3, aspetto che sembrerebbe limitare la cross – protezione fornita dai vaccini attualmente in commercio per il solo PCV2.

Inoltre, sarebbe interessante approfondire la questione del TTV1, dal momento che virus circolanti in un determinato sistema, e apparentemente dotati di scarsa patogenicità, possono ricevere un forte impulso in questa direzione se nel sistema si inserisce un altro microrganismo in grado di potenziarne l’attività.

 

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