L'istopatologia, questa sconosciuta

(dott.ssa Irene Cucco)

L’istopatologia è una branca della patologia che studia, mediante l’utilizzo delle tecniche istologiche, le alterazioni microscopiche dei tessuti, causate dalla malattia (Slaoui e Fiette, 2011). La tecnica consiste nell’osservazione dei preparati istologici e nel riconoscimento delle diverse tipologie di lesioni tissutali e dei relativi pattern di distribuzione, che possono variare a seconda dell’agente patogeno coinvolto e indirizzare il patologo verso una diagnosi corretta. Ad esempio, a volte è possibile osservare delle formazioni particolari, definite corpi inclusi, costituiti da ammassi di particelle virali situate nel nucleo o nel citoplasma delle cellule, indicativi del coinvolgimento di un virus nel processo patologico. Inoltre, a seconda delle cellule infiammatorie riscontrate, si ottengono molte informazioni in merito alla natura dell’agente patogeno coinvolto e ai tempi di insorgenza delle lesioni.

Svantaggi dell'istopatologia

I principali svantaggi dell’utilizzo dell’istologia e dell’immunoistochimica rimangono legati ai costi e ai tempi della processazione del campione, che sono solitamente più lunghi rispetto ad altre metodiche. Tuttavia, con una buona coordinazione tra il laboratorio e il veterinario di campo, le tempistiche possono essere notevolmente ridotte.

Per questa tecnica è poi necessario distinguere le alterazioni patologiche da quelle post – mortem, che possono costituire un fattore di confondimento. Meglio quindi campionare tessuti freschi, che non siano già andati incontro a fenomeni autolitici, legati alla rottura dell’omeostasi cellulare e alle reazioni enzimatiche, che continuano anche dopo la morte dell’animale. Questi cambiamenti favoriscono la crescita fungina e batterica ed esitano nella completa distruzione dei tessuti (Slaoui e Fiette, 2011).

Campionamento

Per una buona riuscita dell’esame istologico si deve partire dal corretto campionamento, perché non bisogna mai dimenticare che il risultato di qualsiasi indagine è sempre riferito al campione esaminato.

La corretta procedura prevede:

Selezione degli animali da campionare. È preferibile prelevare campioni preferibilmente da animali deceduti o sottoposti ad eutanasia da poche ore (massimo 4-6, ma per l’intestino l’ottimale è entro 1 ora). Evitare gli animali trattati con antibiotici e i cosiddetti “scarti”, non rappresentativi della popolazione. Questi sono i soggetti più deboli, dove è più probabile riscontrare infezioni multiple, dove è difficile chiarire la causa primaria della patologia. Meglio campionare tessuti freschi, non congelati, perché il congelamento può generare degli artefatti che ostacolano l’interpretazione delle lesioni.

Prelievo di campioni multipli, a cavallo tra il tessuto sano e quello patologico. I campioni centrali alla lesione potrebbero non essere sufficientemente diagnostici, a causa della presenza di tessuto necrotico che impedisce la chiara visualizzazione degli infiltrati infiammatori, solitamente ben visibili in periferia. Inoltre, i campioni dovrebbero essere ottenuti dalle lesioni più acute, dove è più probabile ricollegare il patogeno alle lesioni riscontrate (Sarli et al., 2021).

Fissazione dei campioni in formalina (soluzione acquosa di formaldeide al 35-40%), diluita al 10%. La fissazione è un procedimento che permette di bloccare le reazioni enzimatiche e i componenti cellulari e consente ai tessuti di sopportare gli stress chimici e fisici delle fasi successive. In commercio è possibile acquistare la formalina già tamponata e pronta per l’utilizzo. In alternativa, si deve diluire la formalina 1:10 con soluzione fisiologica, che previene lo shock osmotico dei tessuti. Il rapporto tra tessuto e formalina deve essere 1:10, per cui si deve evitare di riempire eccessivamente il contenitore con un numero troppo elevato di campioni. Lo spessore di ciascun campione deve essere al massimo di 0,5 – 1 cm, per permettere alla formalina di diffondere anche nelle porzioni centrali che, se non correttamente fissate, andranno incontro a fenomeni autolitici (la velocità di diffusione è di 0,8-1 mm/h, ma può ridursi per tessuti ricchi di grasso). 

Scelta del contenitore. Sembrerà banale ma è opportuno ricordare di non utilizzare contenitori in vetro o in plastica troppo rigida e fragile, che tende a creparsi (compresi alcuni barattoli per la raccolta delle urine). Controllare inoltre che il sistema di chiusura sigilli bene il contenuto. Vivamente consigliati i contenitori con un’imboccatura larga, per estrarre facilmente i campioni (Img. 1).

Conservazione dei campioni. Il contenitore con i campioni va conservato a temperatura ambiente! In genere, basteranno 12-48 h affinché la fissazione si completi, ma le tempistiche dipendono sia dalla dimensione dei campioni sia dalla tipologia di tessuto (es. per il sistema nervoso centrale possono volerci anche 5 -7 giorni). In ogni caso, vale la pena ricordare che più la fissazione avviene rapidamente, migliore sarà lo stato di conservazione dei tessuti.

 Img.1: esempio di contenitori inadatti

Img 1. Contenitori inadatti al trasporto dei campioni in formalina.

Attenzione! La formalina rientra nella classificazione dei composti cancerogeni, oltre che essere irritante per le mucose e per le vie aeree. Quindi, maneggiare la formalina in un luogo ben areato! Esistono in commercio dei contenitori appositi, pre – riempiti di formalina già tamponata che, con un sistema di sicurezza, permettono di mantenere separati i campioni fino al completamento del loro inserimento nel barattolo. Una volta riempito il contenitore, basterà avvitare la parte superiore e la formalina entrerà in contatto con i tessuti prelevati, senza alcun rischio di inalazione dei vapori tossici (Img. 2).

Img.2: esempio di contenitore adatto

Img 2. Contenitori pre – riempiti di formalina, ideali per la raccolta e il trasporto dei campioni in sicurezza.

Processazione dei campioni

Giunti in laboratorio, dopo una fase di disidratazione, i campioni vengono inclusi in blocchi di paraffina e tagliati al microtomo, uno strumento che permette di ottenere delle “fettine” di tessuto molto sottili, intorno ai 4 – 5 µm di spessore. Le sezioni vengono utilizzate per l’allestimento dei vetrini, poi colorati con l’ematossilina – eosina o altre colorazioni più specifiche (Slaoui e Fiette, 2011), che andranno a definire le varie componenti cellulari.

L’Iimmunoistochimica

L’immunoistochimica è una tecnica che, come dice il nome, si fonda sui principi dell’immunologia, dell’istologia e della chimica. Consiste nella dimostrazione della presenza del patogeno (più in generale, dell’antigene) all’interno delle sezioni di tessuto, mediante l’utilizzo di anticorpi specifici (Ramos-Vara, 2005), marcati con una sostanza colorata che ne permette la visualizzazione sul vetrino. Ciò che rende particolarmente utile e interessante l’immunoistochimica è che, rispetto ad altre metodiche, questa tecnica permette di stabilire una relazione tra l’agente patogeno e le lesioni. Infatti, la PCR o l’ELISA forniscono informazioni importanti relative alla presenza/assenza del patogeno all’interno del campione e, in alcuni casi, anche alla sua quantità, ma non sempre questo basta a dimostrarne il coinvolgimento nel processo patologico. Basti pensare all’infezione da PCV2, virus comunemente riscontrabile in PCR anche in animali sani, ma non sempre responsabile della sintomatologia. Anche nel tratto digerente del suino troviamo centinaia di specie batteriche, comprendenti Clostridium spp, Escherichia coli, Salmonella spp., ma questi agenti sono responsabili delle forme cliniche solo in determinate circostanze.

Nel prossimo articolo vedremo insieme le principali caratteristiche del complesso delle patologie respiratorie del suino (PRDC) e i principali quadri macroscopici e microscopici riscontrabili a seconda dell’agente patogeno coinvolto.

 

Bibliografia

Ramos-Vara J. A. (2005), Technical aspects of immunohistochemistry, Veterinary Pathology, 42(4), 405–426.

Sarli G., D’annunzio G., Gobbo F., Benazzi C., Ostanello, F. (2021). The role of pathology in the diagnosis of swine respiratory disease. In Veterinary Sciences (Vol. 8, Issue 11). MDPI.

Slaoui M., Fiette L. (2011). Histopathology procedures: from tissue sampling to histopathological evaluation. Methods in Molecular Biology (Clifton, N.J.), 691, 69–82.