Il 21 e 22 marzo di quest’anno si è tenuto a Vienna l’High Quality Pork Congress, evento organizzato da MSD Animal Health, durante il quale hanno preso parola numerosi esperti del settore suinicolo, che con interessanti presentazioni hanno toccato diversi temi attinenti alla suinicoltura. Carlos Pineiro, medico veterinario e direttore di PigChamp Pro Europa, nella sua relazione ha fornito interessanti spunti sul tema della biosicurezza, in una chiave di lettura orientata principalmente alla PRRS ma che può valere per moltissimi altri agenti patogeni.
Il rispetto della biosicurezza è un requisito importantissimo per garantire al proprio allevamento una buona produttività, e nei momenti in cui la morsa del mercato è più stringente può risultare la boa che permette al bilancio aziendale di galleggiare al di sopra della linea dei costi, sotto la quale il risultato è un bilancio in negativo. I risultati di una buona biosicurezza non sono sempre facili da apprezzare, mentre sono molto più evidenti le conseguenze di un non rispetto di queste prassi, specialmente quando ci si trova in un’area geografica ad elevata densità di allevamenti.
Il termine biosicurezza si riferisce all’insieme delle misure, delle politiche e delle procedure utili a ridurre al minimo i rischi potenziali per l’ambiente e la salute umana e animale derivanti dalle moderne biotecnologie. Addentrandoci in questa definizione di ampio significato possiamo dire, per quanto riguarda la zootecnia, che consiste nella riduzione del rischio di diffusione di agenti patogeni, tenendo conto che in condizioni intensive di allevamento ci si trova a che fare con patogeni ritenuti endemici. Spesso trasmessi direttamente dalla scrofa al suinetto in sala parto, questi microrganismi possono seguire l’animale durante l’intero ciclo di ingrasso. Oltre ai sempre più discussi antibiotici, siamo in possesso di altri strumenti per prevenire e controllare le diverse patologie, ma va considerato che la conoscenza veterinaria sugli agenti eziologici che le causano non è sempre omogenea, e ciò può comportare un’inadeguatezza delle misure profilattiche. Patogeni ad elevato grado di mutazione come ad esempio il virus della PRRS (sindrome respiratoria e riproduttiva dei suini) sono quindi i più a rischio in questo senso, poiché presentandosi con caratteristiche di volta in volta differenti ci si trova spesso impreparati ad affrontarli, tenendo conto che anche la modalità di diffusione, la resistenza ambientale, e (non ultima) la patogenicità hanno la loro importanza nel delineare il rischio specifico di un microrganismo.
Con la biosicurezza esterna si punta quindi ad impedire l’entrata nel proprio allevamento di un nuovo patogeno, come può essere un ceppo eterologo di PRRS. Non essendo infatti riconosciuto dall’immunità eventualmente presente per il ceppo omologo già circolante in un allevamento positivo, si comporta come un virus mai incontrato prima, generando delle perdite più o meno elevate a seconda della virulenza del ceppo. Solitamente gli allevatori sono più preoccupati del rischio di introduzione di patogeni nella propria azienda che del rischio di diffusione di patogeni aziendali all’esterno dell’allevamento. Tuttavia anche quest’ultimo è un punto che dovrebbe essere preso seriamente in considerazione, dal momento che a causa della popolosità animale nel territorio in cui viviamo e delle frequenti movimentazioni di suini, non ci troviamo in compartimenti a tenuta stagna, ma in un contesto permeabile e sensibile alla diffusione di patogeni. Infatti, una volta usciti da un allevamento, possono ricircolare sul territorio e magari ripresentarsi a distanza di tempo (probabilmente con caratteristiche diverse dal microrganismo originario).
Limitare la diffusione di patogeni
ad altri allevamenti è dunque conveniente anche egoisticamente parlando
Le misure utili per impedire l’ingresso di nuovi microrganismi sono innanzitutto la delimitazione esterna dell’allevamento, impedendo fisicamente agli automezzi di varcare la soglia senza un’adeguata disinfezione, e l’obbligatorietà per il personale interno ed esterno di effettuare un lavaggio e un cambio di abiti attraverso docce e spogliatoi. La delimitazione fisica degli ambienti è dunque un buon inizio per adottare delle buone prassi sanitarie, ma da sola certamente non basta, poiché è necessario che ogni individuo tenga un comportamento corretto. L’utilizzo di calzari e guanti monouso e il rispetto di una direzionalità corretta negli spostamenti, cercando di seguire il criterio da “zona pulita” a “zona sporca” e da “zona ad alto rischio per gli animali” a “zona a rischio inferiore” dovrebbero essere comportamenti ben radicati nella coscienza di ognuno. È qui dunque che subentra la maggiore criticità: una volta decisa la linea di comportamenti da seguire, queste misure devono essere applicate con continuità e senza eccezioni. Sembra scontato, ma avere a che fare con microrganismi invisibili all’occhio umano rende di difficile percezione l’effetto sull’andamento sanitario dell’azienda che hanno le azioni quotidiane delle persone che la frequentano. Dal momento che non sono situazioni in cui si riceve un riscontro empirico immediato, diventa fondamentale la formazione, attraverso la quale si può radicare la cultura della biosicurezza nel modo di pensare degli addetti al settore.
Per combattere nemici invisibili
la biosicurezza deve passare attraverso la cultura
È solo così che in mancanza di un cartello esplicativo, di una sbarra, o dello sguardo vigile del proprietario dell’allevamento, si può agire sui comportamenti del personale, indirizzandoli verso il rispetto delle buone prassi sanitarie. Se si volesse disporre di garanzie maggiori, soprattutto per chi come i trasportatori non fa parte del personale interno, esistono comunque delle soluzioni.
Geo-fencing
Il geo-fencing è una sorta di "recinto virtuale" che utilizza la tecnologia GPS sui dispositivi mobili per definire i confini geografici virtuali di un'entità in movimento (oggetti o persone), ovvero la sua posizione e il suo movimento. Il geo-fencing rileva il segnale di un insieme di telefoni mobili identificati su un perimetro geografico definito e se uno di questi sopraggiunge nell'arco di questo perimetro, questo evento viene prontamente segnalato sia a chi sta varcando la soglia virtuale che al proprietario dell’allevamento. Naturalmente, la persone identificata deve aver accettato in precedenza di entrare a far parte del geo-fencing. Questo sistema di tracciabilità, oltre a fornire informazioni circa la persona che sta per entrare nel perimetro virtuale, il luogo di entrata, la data e l’ora, ha la potenzialità (grazie ad appositi programmi informatici) di far recapitare un avviso sullo smartphone del visitatore con le indicazioni sul comportamento da adottare. Messaggi come “stai entrando in una zona a rischio biologico”, “lava e disinfetta il veicolo”, “indossa i calzari” o “fatti una doccia e indossa abiti puliti” possono andare a colmare le inattenzioni e le dimenticanze di chi non ha fatto propri i principi di biosicurezza.
Biosicurezza interna e fattore allevatore
Quando manca un’adeguata formazione all’allevatore e al personale di stalla, i benefici tratti dal rispetto della biosicurezza esterna rischiano di venire vanificati nel momento in cui ad esempio si entra in un box di suini colpiti da diarrea e, senza lavare gli stivali, ci si comporta da untori entrando successivamente nei box in cui la diarrea ancora non c’è. Oltre a sapere che certi comportamenti vanno evitati, è fondamentale che al personale venga spiegato il perché di queste regole, in modo che si raggiunga una consapevolezza nelle proprie azioni. Una volta completata, la formazione da sola potrebbe non bastare, specialmente per chi non è il proprietario degli animali e non risente direttamente della produttività dell’allevamento: è la motivazione personale che a questo punto fa la differenza. Se si lavora in un ambiente con tensioni sociali tra i lavoratori o con il proprietario dell’azienda è difficile che si raggiungano buoni risultati in termini di prestazione individuale, e basta che anche solo un dipendente si discosti dal pieno rispetto delle buone prassi igienico-sanitarie per vanificare gli sforzi comuni. Assumere quindi del personale affidabile e motivato, garantendo nel tempo un ambiente lavorativo sereno, non sono solo il punto di partenza per ottenere delle buone performance ma sono anche il valore aggiunto per massimizzare gli investimenti in strutture, strumentazione e formazione. Anche in questo una mano la può comunque dare la tecnologia: è infatti possibile sviluppare (ne esistono già) dei sistemi di tracciabilità dei movimenti interni all’allevamento, che funzionano in modo similare al geo-fencing, tramite la rilevazione dei movimenti di un gettone che viene consegnato al personale e che emette dei segnali che vengono automaticamente registrati dal sistema. Anche qui la motivazione gioca però un ruolo importante dal momento che è necessaria la collaborazione del lavoratore affinché non si tolga il gettone dalla tasca. Questo sistema non ha solo un effetto in qualche misura deterrente verso i lavoratori che con più difficoltà si adeguano al rispetto della biosicurezza, ma permette di raccogliere dati sulla direzionalità dei movimenti e di analizzare quanti e quali sono quelli non corretti. Affiancandovi un monitoraggio sulla presenza dell’agente infettivo tramite analisi biomolecolari e sierologiche, è possibile stabilire una correlazione positiva tra la circolazione del patogeno e il rilevamento di movimenti non corretti, come ad esempio passare da un capannone con suini da ingrasso a quello con le scrofette.
Solo registrando e conoscendo i propri errori
si può pensare di correggerli in modo efficace
Sorveglianza epidemiologica
Grazie alla raccolta e alla condivisione di dati informatizzati è inoltre possibile avere un monitoraggio geografico e temporale della diffusione dei focolai, ad esempio di malattie come la PRRS o la PED (diarrea epidemica del suino), garantendo la possibilità ad allevatore e veterinario di agire in modo pro-attivo invece che in modo reattivo. La tempestività di intervento che si può ottenere grazie ad un modello previsionale può fare la differenza nel controllo di un problema sanitario, portando benefici in termini di efficacia terapeutica e di contenimento delle perdite. Questo tipo di sorveglianza è già attuata dagli enti pubblici di controllo per malattie obbligatoriamente sottoposte a denuncia, ma estendere questo monitoraggio anche a malattie come quelle sopracitate, dal momento che possono determinare grandissime perdite economiche, è interesse di tutto il mondo zootecnico.
È tempo di iniziare a guardare
oltre le mura del proprio allevamento
dato che non ci si trova isolati nel deserto
Le aziende che dispongono di molti allevamenti sparsi sul territorio, vedi ad esempio chi effettua contratti di soccida, sono probabilmente le più adatte ad iniziare una raccolta dati di questo tipo, vista la maggiore facilità di condivisione delle informazioni.
Non esistono scuse per rimandare
Una presa di coscienza sul grado di biosicurezza della propria azienda, tramite check-list o altri strumenti di valutazione, sono il punto di partenza per capire da dove si può iniziare a migliorare. Grazie anche agli strumenti di cui ci si può dotare non esistono più scuse per non implementare e garantire la completa attuazione delle misure igienico-sanitarie esistenti, considerando inoltre che i costi della biosicurezza sono enormemente inferiori rispetto al ritorno economico che si ha sull’investimento. È ora dunque di iniziare a vedere la biosicurezza come una priorità, in modo che i miglioramenti che se ne ottengono siano proficui e duraturi nel tempo.
Potresti essere interessato anche a
La Porcine Reproductive and Respiratory Syndrome (PRRS) e il suo misterioso virus
Mini video tutorial su linee guida per un percorso da seguire a difesa dell’allevamento