(dott. Claudio Mazzoni)
La convivenza con il virus della PRRS sta diventando sempre più insostenibile! Quando tutto in azienda sembra ormai filare per il verso giusto, ecco che, puntuale come la morte, si ripropone l’infezione in tutta la sua gravità. Tempeste di aborti dalle quali ci vogliono dai tre a sei mesi per riprendersi e, anche quando sulle scrofe sembra mostrare una certa”pietà”, viene a presentare il conto negli svezzamenti dove, spesso complicato da varie forme batteriche, si raggiungono percentuali di perdite fuori scala. Per non parlare poi del ruolo dei diversi ceppi virali e dei loro diversi livelli di virulenza che completano mirabilmente un quadro spesso gravissimo con cui stiamo imparando miseramente a convivere.
Da quando il virus della PRRS ha preso fissa dimora nelle nostre aziende la vita zootecnica non è più la stessa. Molti sono stati fino ad oggi gli approcci per fronteggiare la situazione, ma scadenti o comunque discutibili sono stati i risultati. Soprattutto sconcertanti sono stati quelli apportati dalla medicina moderna in generale, dove nella migliore delle ipotesi, si è arrivati ad una limitazione dei danni con esiti, in ogni caso, ben lontani dai risultati ottenuti verso altre malattie. L’eradicazione sarebbe una pratica affascinante, forse l’unica davvero risolutiva, ma non è certamente un argomento facile da affrontare, specialmente nelle realtà aziendali ubicate in contesti ad elevata densità suinicola o comunque che vedono altre aziende nel raggio dei tre km.
Un barlume di speranza nella gestione della malattia è stato acceso con l’avvento della biosicurezza, strumento di non facile applicazione, ma che nel complesso è in grado di ridurre le vie di trasmissione della PRRS oltre che a lenire gli effetti della clinica in modo piuttosto importante. Probabilmente questi interessanti risultati sono imputabili anche, se non soprattutto, alla limitazione della circolazione di tutti gli altri microrganismi (direi in particolare i batteri) che con la biosicurezza è possibile ottenere. Se ci pensiamo bene la biosicurezza altro non è che un’esaltazione delle buone pratiche igieniche, insomma la pulizia riportata ad un livello almeno di decenza che, nella stragrande maggioranza delle aziende, vuoi per il tempo, vuoi per la gestione dei flussi o vuoi per le abitudini del personale e delle proprietà che glielo permettono, non è così facile trovare. In effetti il ruolo di questi microrganismi è decisivo nell’espressione della gravità della sintomatologia finale della PRRS, basti pensare allo Streptococcus suis nei suinetti che, proprio con la PRRS, è in grado di fare “salotto” potenziando in modo reciproco gli effetti negativi, ma gli esempi con altri batteri patogeni possono essere davvero molti. Questo deriva dalle caratteristiche intrinseche del virus della PRRS, che, grazie alla sua azione depressante dell’immunità innata, riesce a rendere quasi tutti i microrganismi, anche quelli più tranquilli, in grado di poter esprimere un certo livello di patogenicitá. Ecco che allora l’avvento della biosicurezza esterna, in grado di limitare considerevolmente l’introduzione di nuovi ceppi PRRS dall’esterno, piuttosto che quella interna, capace di contenere la circolazione di quelli già presenti in azienda, ha rappresentato un punto chiave nella lotta a questo virus. Tuttavia ancora non basta! Tanti sono i casi di rottura del sistema biosicurezza, sia di quella esterna che di quella interna, dal momento che non solo l’introduzione dei ceppi eterologhi rappresenta un problema serio, ma anche la ricircolazione di quelli interni, dopo magari tanti mesi di stabilità, può rappresentarlo. La principale criticità della biosicurezza, o meglio il principale motivo per cui la biosicurezza, soprattutto quella interna, fallisce è quando si presentano problemi sulla gestione dei flussi.
Anche se spesso non ce ne rendiamo conto, il virus della PRRS trova il modo di sopravvivere nelle stanze delle nostre aziende, grazie al modo con cui noi gestiamo i flussi dei suini. I rimescolamenti delle scrofe gravide ad esempio favoriscono le circolazioni in modo abbastanza imprevedibile. Ma certamente è nella sala parto dove si gioca la maggior parte della partita. Qui abbiamo una grande quantità di animali, alcuni dei quali potenzialmente viremici, che possono essere facilmente trasferiti: i suinetti. In questo contesto vale ancora di più la frase: “la sanità la fa un animale solo”. Molto spesso, soprattutto quando parliamo di ceppi virali omologhi, non è facile individuare i suinetti che clinicamente esprimano un qualche sintomo dell'infezione. Ed è in questa fase che il virus approfitta nel modo più bieco possibile del nostro senso del lavoro, nonché della nostra affezione per il lavoro della sala parto. Molti operatori, infatti, trasferiscono i suinetti con il fine di avere covate omogenee e più numerose possibili allo svezzamento, ma anche per una nobile questione di affezione al proprio lavoro ed anche agli animali. C'è infatti l'impressione, tutt'altro che sbagliata, che trasferendo soprattutto i suinetti più in difficoltà nella crescita, si possa dare loro una chance in più di sopravvivenza. Ma è proprio attraverso questi trasferimenti che il virus riesce a crearsi un serbatoio per sopravvivere, sia perché può infettare gli altri suinetti della balia, e sia perché saltando sulla scrofa può rimanere all'interno della gestazione per periodi davvero prolungati, portandoci a situazioni endemiche che sono alla base delle circolazioni del virus in scrofaia. Il punto più alto del rischio si raggiunge allo svezzamento, quando per evitare di trasferire i suinetti più in ritardo di crescita, e pertanto poco adatti ai siti due, si tende a tenerli in sala parto sotto scrofe di balia dedicate, con lo scopo di dare loro una extra settimana dilatazione per renderli più presentabili allo svezzamento. Insomma! Sembra proprio che più cerchiamo di far del bene, più il virus ci ripaga rimanendo nelle nostre aziende. La riprova di questo, che quindi il virus persista sfruttando la nostra debolezza umana, viene fornita dal successo di alcune pratiche di lavoro, che impedendo i trasferimenti e la sopravvivenza dei lotti dei suinetti più deboli e refrattari ai trattamenti, dimostrano che così facendo il virus può essere più controllato. Sembra quasi che tutte le buone pratiche zootecniche che ci hanno insegnato i nostri padri per cercare di lavorare bene, migliorare le condizioni dei nostri suinetti, non siano più adeguate. Ecco quindi la vera difficoltà legata al controllo di questa malattia: convincerci che certe pratiche apparentemente crudeli, come quella di non trasferire più i suinetti bisognosi, siano la base del successo per il controllo della malattia stessa nonché un motivo di sopravvivenza per gli altri che rimangono.
Date le difficoltà legate al far passare questi concetti nuovi, che in realtà comportano un cambiamento epocale delle abitudini della manovalanza, nonché degli allevatori stessi, una domanda sorge spontanea: esiste un modo, o un sistema di lavoro In grado di aiutarci a combattere questa dura battaglia contro la PRRS? In effetti la risposta a questo quesito è abbastanza complessa, ci vorrebbe qualcosa in grado di preservare le nostre abilità, sia umane che tecniche, ma allo stesso tempo confinare la circolazione del virus il più possibile.
Ho pensato molto a cosa potesse aiutarci in questa direzione e, anche alla luce degli incontri fatti durante l’ultimo simposio Europeo di Salonicco, ho trovato un’unica risposta: l’allevamento in bande plurisettimanali.
Tutti ormai conosciamo buona parte dei meccanismi che regolano questi sistemi zootecnici, ma non tutti abbiamo colto l’essenza dei vantaggi sanitari che apportano. Avendo ormai convertito molte aziende verso questi sistemi di lavoro, la cosa che mi colpisce sempre è che il numero dei trasferimenti degli animali, dalle scrofe ai suinetti, per non parlare di quelli verso i siti due e tre, si riducono drasticamente interferendo così, in modo importante, con la gestione dei flussi. Inoltre ogni attività zootecnica viene dilatata considerevolmente nel tempo, ad esempio ogni 2, 3, 4, 5 o 7 settimane in concomitanza con gli intervalli settimanali tipici di ciascun sistema di banda. Già partendo dalle scrofe, possiamo contare su lotti più numerosi e più o meno aventi tutti gli stessi giorni di gestazione. È possibile anche rendersi conto di un effetto banda, ovvero di eventi che con ciclicità si ripetono all'interno dello stesso gruppo di animali (Banda), anche al ciclo successivo, quasi come renderli un piccolo allevamento all'interno dell'allevamento stesso. Davvero importanti sono poi i vantaggi ottenuti all'interno della sala parto e, due su tutti meritano a mio avviso, la nostra attenzione. Il primo è l'età dei suinetti: è infatti verosimile che i suinetti possano essere manipolati e trasferiti all'interno di uno stesso gruppo di coetanei e non fra lotti di età diverse. Il secondo punto é relativo a una diversa gestione del tempo, che permette di lavorare con un maggior livello di biosicurezza interna: a tal proposito basti ad esempio pensare che tutti gli strumenti utilizzati per processare una banda verranno riutilizzati non più fra una settimana, bensì fra i multipli di settimane scanditi dalla tipologia della banda, consentendoci un maggior tempo per l'igienizzazione degli stessi. Questo concetto legato al tempo risulta davvero fondamentale anche per gli svezzamenti. Con il susseguirsi settimanale delle svezzate, il virus riesce a mantenere una certa virulenza, proprio perché può passare da un lotto di suinetti svezzato all’altro nel pieno della sua fase di replicazione (fase iniziale dell’infezione). Dal momento in cui passassero più settimane fra uno svezzamento e l’altro, il virus incontrerebbe il lotto dei suinetti della svezzata successiva in una fase diversa della sua curva di infezione, magari, ed è questo il caso dalla terza settimana in avanti, già in parte aggredito e processato dal sistema immunitario dei primi suinetti infettati. In questo contesto il virus potrebbe avere perso la sua naturale iniziale aggressività, permettendo al sistema immunitario dei suinetti delle bande successive, un tempo di reazione più consono ad evitare i danni sanitari peggiori. Insomma! Con il sistema del management in bande plurisettimanali, si riuscirebbero ad ottenere gli effetti positivi di una migliore gestione dei flussi, e quindi biosicurezza interna, oltre che di una migliore interazione del sistema immunitario dei suinetti con il virus stesso.
Molti di voi a questo punto potrebbero obiettare che però il sistema in banda porta ad una riduzione della produzione. Tuttavia! Sebbene questo sia vero solo per la banda trisettimanale, il punto a mio avviso deve essere un altro. Il passaggio in bande plurisettimanali infatti, non deve essere visto come un sistema definitivo in cui convertire l'azienda, ma come uno strumento terapeutico, né più e né meno di una medicina, proprio laddove la medicina fino ad oggi sembra avere ottenuto pochi risultati. Questo concetto fa sì che una volta guariti dalla malattia, si potrebbe tornare ai precedenti sistemi di lavoro, con la consapevolezza di aver capito come guarire... insomma, se desiderato, si potrebbe tornare alle precedenti abitudini.
Il virus della PRRS ha trovato nel management delle nostre aziende e nel desiderio di far bene delle nostre maestranze il sistema per rimanere endemico. Questo grazie anche alle sue caratteristiche virali sia di scarsa diffusibilità che di inibizione del sistema immunitario che lo rendono unico nel suo genere. Ecco perché dobbiamo combatterlo direttamente nel suo terreno ragionando come lui, quindi a livello manageriale. Viene da sé, che la Biosicurezza e le Bande siano due strumenti estremamente interessanti per la lotta a questo virus, proprio per le forti implicazioni manageriali che hanno, e che rendono così le nostre aziende un B&B nel quale la PRRS non possa alloggiare più così volentieri.