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Suinicoltura + Suinicultura

Ci siamo occupati di materie prime, di additivi tecnologici, abbiamo parlato di lattosio, grassi e proteina ma mi sono reso conto che poche chiacchiere, in genere, vengono dedicate ai sali minerali: probabilmente visto il basso costo, la elevata disponibilità e lo scarso interesse economico (a parte l’aumento stratosferico del costo dei fosfati diversi anni fa, legato come sempre a speculazioni internazionali), questa categoria di alimenti è tenuta in scarso conto e spesso non viene valutata nella sua reale essenzialità come parte fondamentale di una dieta: ma credetemi, l’errore di impostazione formulistico, l’eccesso o la carenza anche di uno solo di questi componenti possono determinare gravi sbilanciamenti nutrizionali e perdite economiche elevate. Inoltre è interessante considerare come, a differenza di altri paesi tipo quelli del nord Europa, i Sali minerali in Italia (fosforo soprattutto) non sono soggetti a restrizioni di uso o limiti quantitativi di utilizzo, a parte una tolleranza sulle ceneri totali dei mangimi per evitare che si faccia peso con calcio carbonato e non con cereali o proteici. Non è mia intenzione fare un trattato di nutrizione minerale elencando le funzioni di tutti i macroelementi (per macroelementi si intendono quei minerali dosati in grammi/kg mangime, a differenza dei microelementi che si dosano in milligrammi/kg ) , ma prendere in considerazione quelli che più frequentemente vanno in carenza o eccesso. Di questo elenco fanno parte Calcio, Fosforo, Sodio, Cloro, Magnesio oltre a Zolfo e Potassio: mi occuperò oggi dei primi due. Tutti questi elementi possono essere forniti a livello minimo per evitare l’insorgenza di una sindrome carenziale, a livello ottimale per offrire all’animale la possibilità di esprimere al meglio la potenzialità produttiva garantendo uno perfetto stato di salute fino addirittura a raggiungere livelli tossici quando si ecceda nelle quantità.

Calcio

La fonte classica è da carbonato. Ne esistono di diverse granulometrie, più è fine e meglio è per il monogastrico: esistono anche lavorazioni con granulometria maggiore, ma queste sono da consigliare per la alimentazione dei i ruminanti o delle ovaiole. Ricordo che in un caso di utilizzo di calcio cosiddetto “granulare” da parte di una azienda mangimistica , nel giro di pochi mesi ci siamo ritrovati ad avere consumate ed abrase completamente le alette di spinta poste sulle ruote posizionate nei gomiti della linea di distribuzione della broda. Il calcio è il componente fondamentale delle ossa e dei denti e partecipa alla trasmissione degli impulsi nervosi, coagulazione del sangue e contrazione muscolare; nonostante il basso costo mi è capitato di incrociare carenze importanti causanti rachitismo nei suinetti in accrescimento e gravi deficit espulsivi in scrofe partorienti. In generale deve essere dosato come elemento tra lo 0,8 e 1,3% della dieta, ma ancora più importante è il suo rapporto con il fosforo digeribile, rapporto che cambia in base alla età degli animali, più stretto nei soggetti giovani ed un po’ più largo negli adulti. Discorso a parte meritano i suinetti in svezzamento, dove il calcio carbonato non dovrebbe superare mai lo 0,5%, meglio se più basso ancora, a causa della sua tendenza ad alcalinizzare la dieta e predisporre a rischio enteriti: una alternativa è il calcio formiato, dotato di azione acidificante e quindi più fruibile per le formulazioni post svezzamento, da inserire in dosi dallo 0,3 alllo 0,5% al massimo a causa della sua scarsa appetibilità.

Fosforo

Si trova in commercio soprattutto come fosfato bicalcico, monocalcico o monobicalcico. Anch’esso è componente fondamentale di ossa e denti, partecipa alla costituzione di fosfoproteine, fosfolipidi, acidi nucleici ed è quindi parte fondamentale del metabolismo energetico. Come ricordavo sopra, una decina di anni fa ebbe una impennata di prezzo che costrinse tutti i produttori di mangimi a convincersi della addizione di fitasi per sfruttare il fosforo come costituente degli alimenti, in natura strettamente legato a porzioni di zuccheri delle materie prime e quindi non assimilabile perché indigeribile. Come fosforo totale nelle diete è consigliato il dosaggio tra lo 0,5 e 0,9%, ma voglio ribadire che il fabbisogno reale va valutato in fosforo digeribile, e che il rapporto fondamentale da prendere in considerazione è appunto quello tra calcio e fosforo digeribile. Tempo fa ho fatto un grave errore, lo dico proprio per evitare che possa capitare a qualcuno che mi legge: mi fidai dei fabbisogni proposti da una rinomatissima ditta di integratori del Nord Europa che, a causa delle locali restrizioni legislative sui reflui zootecnici ed il loro contenuto di fosforo, proponevano livelli molto bassi di fosforo digeribile al punto che la fitasi da sola era quasi sufficiente a coprire il fabbisogno, sulla carta, con una aggiunta veramente ridicola di sale minerale: purtroppo questa scelta ha causato una zoppia imponente su tutta la mandria in tempi molto rapidi. Per questo io consiglio caldamente, soprattutto sui riproduttori ma anche negli animali all’ingrasso, di inserire sempre e comunque una dose minima fissa di fosfati indipendentemente da quanto il programma di formulazione mostri necessario inserire (per esempio almeno 150 grammi/quintale di fosfato monocalcico negli ingrassi ed almeno 250 nei riproduttori, opinione personale). Purtroppo la categoria dei fosfati è riconosciuta anche essere una delle principali fonti inquinate da metalli pesanti come il cadmio per cui, nonostante i controlli routinari di qualità che vengono effettuati sulle materie prime in entrata dei mangimifici, è sempre meglio gestire il tutto utilizzando sempre la fitasi per ridurne l’impatto addizionando quote di fosfati comunque limitate.

Fitasi

La Fitasi (6-fitasi, cioè enzima che rompe la catena di P-inositolo in posizione 6) è un enzima presente in numerose materie prime vegetali, soprattutto nei cereali bianchi; esiste anche una 3-fitasi prodotta industrialmente con uguale funzione. I fitati sono sempre componenti a base di fosforo e strettamente legati a zuccheri ed in minor misura proteine con la funzione di stoccaggio dell’elemento fosforo nella pianta. Il corredo enzimatico del monogastrico non è in grado di scindere questi legami e rendere assimilabile questo minerale per cui il suo sfruttamento è imprescindibile da una aggiunta extra di enzima. L’industria offre diverse soluzioni a questo riguardo sfruttando alcuni ceppi batterici o fungini (Aspergillus, Penicillum, Pichia) dalle cui colture si possono estrarre concentrati di enzima che, una volta quantificati in modi diversi con diversi parametri, vengono addizionati ai mangimi completi. Già il fatto però che, a seconda sei produttori, ogni fitasi abbia un proprio specifico parametro di misurazione mette un po’ in difficoltà chi debba occuparsi di formulazione: misurati in FTU, in FYT o PPV i dosaggi consigliati dai produttori non possono essere comparati tra loro, ed il loro dosaggio deve seguire pedissequamente i suggerimenti del fornitore; importantissimo poi è l’assicurarsi che il contatto con prodotti ossidanti quali colina ed oligoelementi nonché operazioni stressanti quali pellettatura o aggiunta di acidificazioni extra non riducano la loro efficacia. Esiste una scuola di pensiero che promuove l’utilizzo di Fitasi anche finalizzato a migliorare la assimilazione di aminoacidi e al fine di rendere i mangimi unitariamente più alti di energia: chiaro che più basse sono le ceneri di un mangime, più alta è l’energia unitaria, ma spingersi a dare in formulazione valori “fantasma” di aminoacidi digeribili alla Fitasi, beh, personalmente non me la sento ancora…

In conclusione, anche se probabilmente questo argomento non è molto accattivante, ritengo che soffermarsi su qualcuno dei concetti espressi soprattutto per quanto riguarda rischi reali e sicurezza di uso sia oltremodo consigliabile per chi si occupa di nutrizione.