Riprendiamo il filo del discorso interrotto l’ultima volta e torniamo ancora a parlare di prodotti alternativi agli antibiotici in terapia (o meglio prevenzione e controllo) delle forme enteriche del suino, ricordando ancora una volta che a breve la colistina sarà utilizzabile nei mangimi solo a determinate condizioni.
Chi si ricorda degli antibiotici promotori di crescita (AGP), spariti ormai da molti anni dal mercato europeo, sa che erano dotati di attività battericida su determinate specie di germi, selezionando alcuni ceppi batterici rispetto ad altri e stimolando soprattutto la crescita di quelli in competizione con le specie “nocive”; la loro attività inoltre riduceva i metaboliti batterici dotati di una certa tossicità quali ammoniaca, amine e prodotti di degradazione della bile, influenzava il turn over delle cellule epiteliali dell’intestino e controllava l’infiammazione intestinale . Assieme al Carbadox questa categoria fa ormai parte della storia della zootecnia, ed eticamente non si può che concordare sul loro abbandono.
La ricerca fortunatamente non si ferma ed ha rimpiazzato questa categoria con probiotici e prebiotici che, unitamente agli acidi organici e ad altri additivi, concorrono ad essere una più che valida alternativa alla medicazione del mangime. Come valore aggiunto, questi additivi hanno la caratteristica di possedere una immagine positiva presso i consumatori, essere "amici dell’ambiente", abbastanza efficienti e di facile uso per i produttori di mangimi (ad esempio non necessitano di ricette o particolari precauzioni di uso). Le modalità di azione sono molto diverse a seconda della tipologia di prodotti: in generale questi additivi possono lavorare
- sulla inibizione dell’adesione della cellula batterica ospite all’epitelio intestinale (Prebiotici e Mannanoligosaccaridi o MOS)
- sulla inibizione della proliferazione batterica (estratti di piante ed acidi organici, questi ultimi già visti nella chiacchierata del mese scorso)
- sul potenziamento della integrità dell’epitelio intestinale (FOS frutto oligosaccaridi , betaina e butirrato)
- sulla immunomodulazione (pareti di lieviti)
- sulla esclusione competitiva, cioè incapacità per le colonie di alcuni batteri (per es.Coli) di stabilirsi in una determinata porzione di intestino per la presenza di altri batteri (prebiotici e FOS)
Per Prebiotico si intende un alimento indigeribile che influenza positivamente l’ospite stimolando in modo selettivo la crescita e/o l'attività di un limitato numero di batteri che già colonizzano il colon: in base a questa definizione i FOS rientrano perfettamente nella categoria mentre i MOS, pur essendo scarsamente utilizzati dalla flora intestinale, sono considerati comunque anch’essi prebiotici. Anche alcuni NSP o polisaccaridi non amidacei come pectine, beta glucani ed addirittura gli amidi indigeribili fanno parte di questa categoria. I FOS includono tutti gli oligosaccaridi composti da unità di fruttosio e glucosio, più in specifico si tratta di poche molecole di fruttosio legate fra loro che presentano una molecola di glucosio alla fine della breve catena, molecole tenute insieme con un legame resistente alla digestione enzimatica dei mammiferi. L’inulina, a mio parere uno dei più efficienti, si trova in natura nella polpa di cicoria e nei carciofi. Si tratta di prodotti molto fermentescibili, “carburante” perfetto per i batteri “buoni” tipo Lattobacilli e Bifidobatteri: tra gli effetti riportati in letteratura si possono sottolineare l’aumento di produzione di acido lattico sia nel piccolo che nel grosso intestino, l’aumento degli acidi grassi volatili nel colon, la riduzione di ammoniaca nel’ileo e la riduzione di Ph dello stomaco in suinetti post svezzamento. Infine è anche dimostrato l’aumento della differenziazione microbica nell’intestino di soggetti giovani, ed a questo proposito voglio ricordare gli studi in corso presso diverse università del nord Europa, Canada ed Australia sulla selezione genomica del microbiota intestinale del suinetto come ultima frontiera. Le dosi dei FOS variano a seconda dei prodotti tra lo 0,2 e lo 0,5%.
Diversi sono i MOS, scarsamente degradabili: questi sono parzialmente costituiti da catene di mannosio, indigeribili anch’esse, legate ad altri costituenti come le proteine, che nel colon non fermentano affatto. Spesso MOS è sinonimo di pareti cellulari di lieviti, principali fonti di questa tipologia di prodotti: agiscono inibendo l’attecchimento delle fimbrie di enterobatteri patogeni, quali Coli e Salmonelle, all’epitelio intestinale. In letteratura sono anche riportati sia l’effetto benefico sulla morfologia intestinale che sulla immunità umorale di animali alimentati con diete arricchite di questi additivi, alla dose da 0,1 allo 0,3% a seconda della fonte. Da non dimenticare infine la loro potentissima attività ed efficacia contro le micotossine.
E veniamo agli estratti di piante: hanno avuto una stagione molto modaiola in passato (ricordo in particolare l’aglio, che era proposto negli anni novanta e che mi risulta ora essere quasi del tutto finito nel dimenticatoio) e per qualcuno di questi estratti naturali si assiste ad un prolungamento della loro vita commerciale; a partire dal rosmarino per passare all’origano ed alla cannella, da diverse piante si estraggono principalmente oli essenziali con attività che vanno dalla antibatterica alla immunostimolante, alla attività antiossidante addirittura comparabile a quella della Vitamina E. In vitro queste caratteristiche sono scientificamente dimostrate, per carità, ma purtroppo di questa categoria di “sostanze botanicamente definite”, come si legge sulle etichette di mangimi od integratori che le contengono, fanno parte anche alcuni prodotti che hanno un paio di difetti molto evidenti: il primo, non esistono (o per pochissime di esse esistono) metodiche analitiche definite e standardizzate, e, se esistono, difficilmente sono fornite agli acquirenti per valutarne il contenuto di principio attivo (tutto ciò comprensibilissimo, nessuno vuole svendere il proprio know how), per cui si acquista il prodotto quasi sulla fiducia… inoltre la loro stabilità soprattutto in presenza di minerali, oligoelementi, acidi, pellettatura, etc. non è ben chiara, per cui viene ad essere rimarcato ancora di più il difetto originale sopra menzionato.
Personalmente non credo che i prodotti sopra descritti presi singolarmente possano da soli risolvere determinate situazioni, ma sono fermamente convinto che, messi assieme ed introdotti nei mangimi assieme ad acidifcanti ed alimenti scelti in base alla loro scarsa attività “allergenica” a livello intestinale, siano una validissima alternativa alla vecchia “biochimica antibiotica”.
In conclusione dobbiamo convincerci che gli antibiotici rimarranno sì ancora uno strumento indispensabile nelle produzioni zootecniche, ma la loro regolamentazione sarà sempre più rigorosa, come è giusto che sia, e che l’uso prudente dei medicinali sarà parte fondamentale dell’educazione di ogni buon veterinario, tecnico ed allevatore; ciò detto, è giusto rimarcare come la formulazione di mangimi priva o limitata nell’uso delle molecole antibiotiche stimolerà i produttori a sfruttare sempre di più e meglio le opportunità fornite dalla ricerca in alternative alimentari efficienti ed efficaci.