(Giulia Catellani, laureanda MV)
La ghiandola mammaria durante la vita della scrofa subisce diverse modifiche, atte ad assecondare il momento riproduttivo corrente.
Il primo cambiamento che avviene è durante la lattogenesi, cioè quando la mammella si prepara a secernere in primis colostro e successivamente latte; tale processo può essere suddiviso in due fasi: la prima in cui le cellule del tessuto mammario si preparano per la sintesi dei diversi componenti del latte (i quali arriveranno agli alveoli tra il 90° e il 105° giorno di gestazione) e la seconda fase che descrive la sintesi del latte e la sua secrezione in prossimità del parto.
A livello cellulare il maggiore cambiamento avviene al termine della gravidanza, durante il primo periodo di lattazione (detta “fase colostrale”), nel quale le giunzioni che circondano gli alveoli si allargano permettendo la trasudazione del siero dai capillari agli alveoli (vedi Figura 1); la maggiore permeabilità unita all’aumento del flusso sanguigno consente un continuo scambio di componenti dal sangue al latte e viceversa. Siccome la secrezione del colostro è di breve durata il contributo sistemico è di qualità rispetto alla quantità, infatti durante la lattazione il contenuto sierico di molti componenti del latte come lattosio, immunoglobuline e proteine sieriche del latte (α‐lattoalbumina and β‐lattoglobulina) vengono prodotte localmente.
Il segnale di inizio per la lattogenesi è strettamente correlato al “complesso ormonale lattogenico”, un insieme di cambiamenti ormonali in previsione del parto che ha come conseguenza anche l’innesco dei meccanismi di sintesi del latte. Il calo della concentrazione sanguigna del progesterone rimasto alto durante tutta la gravidanza, per esempio, determina un cambiamento a livello di ghiandole mammarie con il fine di produrre il colostro, che a sua volta, interrompendosi poco dopo il parto, innesca il meccanismo per il passaggio verso la produzione del latte.
In contemporanea a termine gravidanza inizia ad agire anche la relaxina, ormone che si accumula nei corpi lutei già all’inizio della gestazione, la quale aumenta esponenzialmente; questi due fattori uniti alla crescita di valori anche di prolattina (ormone essenziale per il proseguimento di tutta la lattazione) completano il complesso ormonale rendendo attive le modificazioni alveolari.
Figura 1: Ghiandola mammaria
Terminata la lattazione la ghiandola inizia un altro processo di cambiamento, detto involuzione mammaria: questo prevede la perdita di 2/3 del parenchima delle mammelle presenti al momento dello svezzamento, per tenere il tessuto a riposo durante il primo trimestre della gestazione.
L’involuzione dura per 7 giorni dopo lo svezzamento, con i maggiori cambiamenti che avvengono entro i primi 2; tale mutamento in realtà potrebbe incominciare precocemente in una singola mammella dopo sole 24h di inutilizzo, motivo per cui nonostante sia un processo reversibile una ghiandola non sollecitata correttamente durante la lattazione porterà meno latte per tutta la sua durata. Dopo il terzo giorno che le mammelle non secernono latte il cambiamento diventa invece irreversibile.
Di tutto l’apparato mammario di una scrofa non è detto che le ghiandole vengano stimolate e allattino in modo paritario e si è visto che quelle che sono state sollecitate maggiormente durante una lattazione avranno un’involuzione maggiore con un migliore rinnovamento del tessuto, avente quindi una portata lattea più abbondante durante la lattazione successiva (anche solo utilizzare un capezzolo per due giorni dopo il parto sembra evitare effetti negativi dello stesso al parto successivo).
L’improvvisa interruzione di sintesi di latte porta nella scrofa grossi cambiamenti anche a livello metabolico ed endocrino: la prolattina decresce mentre i livelli sierici di lattosio e glucosio aumentano grazie all’incremento delle gonadotropine, che permettono al ciclo ovarico di riprendere.
Tali modificazioni all’equilibrio ormonale portano grosse alterazioni anche a livello di alveoli, dove essi vengono rimpiazzati principalmente da tessuto adiposo, chiudendo completamente tutte le giunzioni tra le cellule del tessuto mammario e i capillari; si interrompono così gli scambi con il sistema vascolare (processo che si invertirà nuovamente durante la consecutiva lattogenesi).
Un ritardato svezzamento può portare ad uno sfiancamento del tessuto mammario con conseguente lassità di tali giunzioni, che non riuscendosi mai a saldare in modo totale continueranno lo scambio di sostanze e avverrà quindi la sintesi di latte; il sintomo principale che si rileva sono perdite dal capezzolo fino anche a 44 giorni post-svezzamento.
Risulta quindi molto importante mettere la scrofa nelle migliori condizioni possibili, sia con apporti nutrizionali appropriati che come tempistiche di svezzamento, in quanto una mancata involuzione del tessuto mammario può compromettere tutta la fase di lattogenesi e lattazione successiva, mentre solo una corretta rigenerazione del tessuto permetterà all’animale di continuare ad allattare correttamente in futuro.