MASSIMIZZARE IL N° PARTI/SCROFA/ANNO

La portata nel settore gestazione.

In gestazione, come abbiamo visto alla Fig. 2 dello scorso approfondimento, si costruisce uno dei due pilastri della produttività numerica: il n° parti/scrofa/anno. Di solito, quando si pensa a questo aspetto o se ne discute con gli allevatori, viene subito da pensare alla fatidica “% di fertilità” o meglio “% di portata al parto”. Difficilmente si affronta il problema prestando attenzione alla sua componente “quantitativa”, quella appunto del n° di scrofe inseminate (IA). La Fig. 6 ci aiuta a capire meglio.
Fig. 6. Due scrofaie a confronto, con lo
stesso obiettivo di riempire 100 gabbie
parto/banda
Come si può vedere, l’azienda A è meno produttiva, pur avendo fatto registrare una portata al parto superiore all’azienda B. La qualità non è stata sufficiente. L’errore, allora, dove sta? Nell’avere fecondato poche scrofe. Evenienza tutt’altro che rara negli allevamenti, soprattutto se si trascura una componente fondamentale della portata iniziale in fecondazione: quella delle scrofette. Infatti, il n° delle scrofe svezzate è normalmente insufficiente a coprire quella quota di infertilità che comparirà dopo l’inseminazione. Una certa “riserva” di scrofette in fase di stimolazione/fecondazione è un aspetto fondamentale per qualunque scrofaia che punti ad un’elevata produttività, anche per garantire la corretta riforma delle scrofe pluripare meno produttive, che andrebbero scartate già allo svezzamento.

La domanda-chiave, allora, è questa: esiste un metodo che aiuti l’allevatore a programmare efficacemente le IA/banda (ad es., ogni settimana)? E’ possibile programmare quanti animali verranno inseminati o bisogna accettare passivamente le oscillazioni insite nel ciclo produttivo/riproduttivo di ogni allevamento? Questo metodo esiste, così come esistono gli allevamenti che lo adottano (con soddisfazione!) regolarmente da alcuni anni. Ha un nome anglosassone, “Pig Flow” che noi traduciamo con “flusso di suini”, anche se suona meglio la definizione originale. Viene definito e controllato mediante una tabella come quella illustrata in Fig. 7.
Fig. 7. Tabella semestrale del Pig Flow
Nella sostanza, niente di strano: solamente l’idea di suddividere l’anno non in 12 mesi, ma in 52 settimane (bande). Ad ognuna di queste corrisponderà un certo n° di scrofe inseminate (se si lavora in banda settimanale) le quali, dopo aver lasciato per strada le perdite (ritorni, vuote, aborti), nel corso della 17a settimana partoriranno, ritornando disponibili per una nuova inseminazione 20 o 21 settimane dopo quella precedente. La Fig. 8 riporta una tabella compilata con i dati di un allevamento di circa 430 scrofe con svezzamento a 4 settimane.
Fig. 8. Un’azienda monitorata secondo il
metodo del “Pig Flow”
Le varianti applicative di questo metodo sono molte e possono (devono!) essere personalizzate sul singolo allevamento, ma sarebbe un errore perdersi nei particolari. Ciò che davvero conta è il cambio di mentalità che questa forma di programmazione è in grado di stimolare negli allevatori, a patto di essere ben spiegata e condivisa dagli addetti al settore. Il concetto-chiave è questo: il n° delle scrofe fecondate non è più un evento da subire passivamente, con i tipici alti e bassi, ma un valore che oscilla intorno ad un obiettivo predeterminato, al quale tendere con un’opportuna programmazione.


L’efficienza nel settore gestazione

Abbiamo visto che l’efficienza è un modo di stimare le perdite, potremmo dire un indice “di qualità” del lavoro che va dalla IA al parto. E’ ovvio che limitare le perdite significa ottimizzare le performances: se non fosse così, basterebbe coprire tante scrofe e non preoccuparsi di tutto il resto. Se per la portata avevamo un obiettivo chiaro (n° di IA/banda), quale può essere un valore ottimale di efficienza in gestazione? E’ sufficiente dire, ad es., il 90% di fertilità o l’85% di portata al parto? Certo, come primo punto di riferimento questo valore ha la sua importanza, un modo semplice e diretto per confrontarsi con gli allevatori, direi il dato più “sensibile” in assoluto. Ma, a ben guardare, non fornisce un’informazione completa. La Fig. 9 ci può aiutare a capire il perché.
Fig. 9. Confronto del danno produttivo/economico
tra due allevamenti a diversa % di portata al parto
L’azienda A, pur avendo una portata al parto superiore, finisce per subire un danno economico maggiore, a causa dell’unica scrofa vuota al parto (attenzione a questi soggetti: uno solo vale come 5 ritorni in ciclo!). Per questo motivo, occorre “pesare” il dato della % di fertlità/portata parto in un valore più concreto, che traduca in Giorni Improduttivi (GI, NPD degli autori anglosassoni) l’infertilità registrata. A questo livello necessita l’elaborazione di un software di gestione (strumento fondamentale di controllo!), che indichi il valore medio aziendale dei GI. Non potendo addentrarci nell’analisi delle varie componenti dei GI, ne indichiamo solo una, la più utilizzata nella pratica: l’intervallo chiamato ISCU (Intervallo Svezzamento Copertura Utile), che misura l’intervallo in giorni che occorre ad una scrofa svezzata per ritornare ad essere gravida. Questo valore è una delle tre componenti dell’interparto, quella più esposta a variazioni e che davvero “misura l’efficienza” di un reparto gestazione (senza considerare le scrofette). Un obiettivo “top” da raggiungere potrebbe essere quello indicato in Fig. 10.
Fig. 10. Parti/scrofa/anno derivanti da
due strategie di lattazione
Il valore di 7 giorni qui indicato per l’ISCU rappresenta un valore ottimale cui tendere, ma non impossibile da raggiungere (l’analisi dei dati di vari allevamenti italiani mostra che esistono aziende in grado di restare costantemente sotto la soglia dei 10 giorni).

Sintesi di portata ed efficienza nel reparto gestazione
Abbiamo visto, in sintesi, come entrambe le componenti contribuiscano a formare il “flusso produttivo” aziendale. Volendo indicare un’idea-guida (o un “messaggio da portare a casa” se preferite), quale potrebbe essere? Proponiamo questa:

Alimentare le sale parto con regolarità e alla massima capienza
consentita dal piano produttivo aziendale, ma con il
minor numero di scrofe possibile!

Un esempio concreto di questo concetto è mostrato in Fig. 11.
Fig. 11. Confronto fra due trimestri dopo l’inizio
della programmazione secondo il modello del Pig Flow
Come si può vedere, il fatto di aver posto un obiettivo e di aver motivato il personale al suo raggiungimento, ha permesso di ottenere più parti con meno scrofe.