Sulla base di quanto dettoci da Pensaert, l'Italia col piano del 1997 commise una serie di errori grossolani che ne minarono certamente l'efficacia ai fini di una eradicazione della malattia.
In ordine sparso:
- nessuna modulazione nella strategia di eradicazione, solo vaccinazione obbligatoria e valutazione dell'andamento del piano con test sierologici. Infatti la sola vaccinazione di per se è poca cosa, se non addirittura inutile e dannosa, se non inserita in un piano articolato e/o mal eseguita;
- nessun obbligo di introduzione negli allevamenti da riproduzione solo di suini non vaccinati e sieronegativi o, nel caso di suini vaccinati, negativi al test sierologico per la glicoproteina E (l'ANAS si oppose assolutamente a tale obbligo), tranne un generico richiamo all’introduzione futura di tale obbligo “ previa verifica dei risultati dell'applicazione del programma”. Questa fu una inspiegabile mancanza di una norma fondamentale di profilassi diretta;
- nessuna scadenza certa per l'applicazione della misura precedente: si dovette attendere, inspiegabilmente, sino al D.M. 30 dicembre 2010, quando venne inserito l’obbligo dal 01-01-2013 di introdurre negli allevamenti riproduttori in provenienza solo da allevamenti indenni;
- nessun incentivo agli allevatori “bravi”, per accelerare la pulizia nei loro allevamenti, come fatto in alcuni paesi in cui alle spese del piano parteciparono tutti gli attori: veterinari pubblici per la verifica del rispetto e l'esecuzione dei controlli; laboratori per l'esecuzione degli esami; allevatori e loro veterinari per le vaccinazioni e le misure igienico sanitarie da applicare; macelli e trasformatori per il riconoscimento agli allevatori accreditati di prezzi più alti per il chilo/carne; lo stato con aiuti economici per gli allevatori che applicavano il test e la rimozione di riproduttori sieropositivi (nel nostro paese non sono mai stati neppure presi in considerazione gli ultimi due punti);
- mancata esecuzione della terza vaccinazione negli allevamenti da ingrasso, pratica dolosa diffusa, derivante sia dalla scarsa volontà degli allevatori di sobbarcarsi tale onere, sia dalla scarsa incisività della classe veterinaria tutta. Da una parte i colleghi responsabili dei piani non si imposero sugli allevatori facendo loro capire gli indubbi vantaggi di tale richiamo sulla “salute d’allevamento”, dall’altra i colleghi controllori che tollerarono tale stato di fatto, senza sensibilizzare il collega e l’allevatore prima, intervenendo, poi, con provvedimenti sanzionatori. Il sottoscritto così fece e solo in un caso fu costretto a sanzionare. Tale uso maldestro dei vaccini, ebbe sicuramente effetti disastrosi nel condizionare negativamente il controllo della malattia, in quanto mantenne il virus selvaggio in circolazione;
- sino al D.M. 30 dicembre 2010, il ministero non prese atto del sostanziale fallimento del piano, programmando ulteriori o diversi interventi. Solo allora introdusse, tra le altre cose, la facoltà di impiegare i vaccini attenuati nei riproduttori. Tale scelta, sollecitata dal mondo scientifico veterinario ed attesa da tempo, fu salutata come un importante arma finalmente disponibile, ma affidare oggi solo ad un vaccino, che effettivamente è più immunogeno, un ruolo determinante che non ha, sembra voler chiudere una falla con un turacciolo. Infatti il problema non è sicuramente solo il tipo di vaccino impiegato, ma la mancanza di un piano articolato in cui la profilassi indiretta è solo un supporto marginale in una prospettiva di eradicazione.
Col senno di poi, fu certamente un errore madornale non procedere ad una modulazione nella strategia di eradicazione, applicando scelte diverse a seconda della prevalenza nella popolazione suina e della concentrazione di allevamenti ed animali nel territorio.
Bastava applicare nelle diverse zone del paese epidemiologicamente uniformi, strategie diverse, prevedendo zone cuscinetto fra di loro con strategia mista, come fatto in altri paesi quali la Francia ed il Belgio.
Ad esempio si poteva applicare il seguente schema sin dall’inizio del piano:
- Profilassi sanitaria (no vaccinazione, disinfezioni, controllo introduzioni visitatori, obbligo di introduzione negli allevamenti da riproduzione solo di suini non vaccinati sieronegativi, test e steamping out), nelle zone a bassa prevalenza nella popolazione suina (< 10-15% di allevamenti positivi) e bassa concentrazione di allevamenti suini;
- Profilassi indiretta (vaccinazione) e diretta (disinfezioni, controllo introduzioni visitatori, obbligo di introduzione negli allevamenti da riproduzione solo di suini non vaccinati sieronegativi e, nel caso di suini vaccinati, negativi al test sierologico per la glicoproteina E), cui associare ed incentivare (economicamente) la pratica del "test e rimozione" dei riproduttori sieropositivi, nelle zone con alta concentrazione di suini e con alta incidenza della malattia (pianura padana);
- Strategia mista (sanitaria, diretta ed indiretta) negli allevamenti delle zone cuscinetto, ove applicare misure che prevedessero entrambi gli interventi, per evitare l'introduzione del virus dove si impiegano solo gli interventi di profilassi sanitaria.
Sulla base di tali presupposti, tenuto conto anche del sostanziale fallimento del piano nazionale, poiché, conformemente alla Decisione 2008/185/CE, é possibile arrivare ad identificare un’area indenne (almeno il territorio della provincia) sono stati messi a punto piani regionali di eradicazione. Ha cominciato la Lombardia (Decreto 10784-2011 Piano Piano di controllo della malattia di Aujeszky in Regione Lombardia: verifica attuazione del piano vaccinale), cui è seguito il Veneto (DGR 2061 del 11/10/12 Piano di controllo finalizzato all’eradicazione della malattia di Aujeszky nella Regione del Veneto) e, da ultima, è arrivata l’Emilia Romagna (Deliberazione Della Giunta Regionale 13 Ottobre 2014, N. 1588 - Linee guida per l'attuazione dei controlli inerenti la malattia di Aujeszky per gli allevamenti suini della Regione Emilia Romagna).
La disamina di tali “piani regionali”, sarà oggetto di trattazione nel prossimo lavoro.