I trattamenti in deroga: definizioni
Alla trattazione è necessaria una premessa: con l’uscita delle ultime due note ministeriali (0005727-P-29/03/2011 e 0000567-P-16/01/2012), il ministero ha fornito una serie di indicazioni, relative per lo più alla somministrazione di mangimi medicati, ma con chiari riferimenti al medicinale veterinario, che hanno stravolto la normativa relativamente all’uso in deroga e all’uso improprio. Il sottoscritto, nonostante tali note, che verranno analizzate nel prossimo articolo in maniera approfondita, ha preferito mantenersi al dettato normativo, limitandosi ad una chiave di lettura strettamente collegata al testo normativo.
E’ con l’ultima norma relativa al codice comunitario dei medicinali veterinari del 2006, DLgs 193 del 6/4/2006 e successive modifiche, che compare per la prima volta la definizione dell’uso improprio e viene regolamentato l’uso in deroga dei medicinali. Le difficoltà nell’applicazione della norma iniziano dal significato attribuito alle definizioni dell’uso improprio e dell’uso in deroga. Mentre l’uso in deroga è chiaramente indicato e riferito dalla condizione “Ove non esistano medicinali veterinari autorizzati per trattare una determinata affezione di specie animali destinati alla produzione di alimenti” (art.11 DLgs 193) che indica la mancanza del farmaco, l’uso improprio è definito quale “l'uso di un medicinale veterinario in modo non conforme a quanto indicato nel riassunto delle caratteristiche del prodotto; il termine si riferisce anche all'abuso grave o all'uso scorretto di un medicinale veterinario” (art.1 DLgs 193). Questa definizione comprende sicuramente l’uso in deroga ma in questo non si esaurisce, comprendendo anche tutte le casistiche in cui il farmaco esiste ma viene usato in modo non conforme a quanto indicato nel riassunto delle caratteristiche del prodotto fino ad arrivare all'abuso grave o all'uso scorretto. La differenza risulta ancora più chiaramente in successivi articoli della norma, sia europea, sia nazionale, (art. 92 c.5 - art.96 c.7) laddove, per l’uso improprio prevede sempre e comunque la farmacovigilanza, mentre, di norma, nell’uso in deroga non è prevista la farmacovigilanza perché non è possibile segnalare nessuna reazione avversa rispetto ad un AIC che contemplava tutt’altro. L’unico caso in cui, per poter accedere all’uso in deroga, è richiesta la farmacovigilanza è quello che riguarda la presenza di una reazione avversa nell’utilizzo del medicinale previsto per quella specie e per quella patologia. A fronte di tale rilievo, il veterinario, fatta la segnalazione di farmacovigilanza, accede ad altro medicinale registrato per altra specie o per altra patologia. L’uso improprio inteso quale uso non conforme a quanto indicato nel riassunto delle caratteristiche del prodotto non può, quindi, mai riguardare una specie o una patologia diversa da quella dell’AIC al fine di non rientrare nella fattispecie dell’uso in deroga. A questa disamina consegue l’evidenza che l’uso improprio non riguarderà specie di destinazione e patologia, ma principalmente posologia e via di somministrazione.
Tali caratteristiche sono quelle che più soventemente vengono modificate, in particolare la posologia, quando l’indicazione dell’AIC in merito a questi parametri risulta inefficace o meno efficace. Ricapitolando, quindi, il legislatore avrebbe individuato tre fattispecie dell’uso improprio: due consentite, solo in particolari condizioni strettamente regolamentate, l’uso in deroga e l’uso improprio consentito, e una terza l’uso improprio non consentito.
L’uso in deroga consiste nella dispensazione, ed eventualmente nell’impiego, di un farmaco senza rispettare strettamente le condizioni (specie di destinazione e patologia) che ne avevano consentito la AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio del farmaco).
L’uso improprio consentito, preceduto dalla segnalazione di farmacovigilanza sull’inefficacia, consiste nella dispensazione, ed eventualmente nell’impiego, di un farmaco senza rispettare strettamente le condizioni (posologia e via di somministrazione) che ne avevano consentito la AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio del farmaco)
L’uso improprio non consentito consiste nell’abuso grave o nell'uso scorretto di un medicinale veterinario. Sulla definizione di “abuso grave” e “uso scorretto”, di un medicinale veterinario è bene precisare che non sono definizioni dettate per legge. L'uso scorretto è di per se stesso un abuso (ab-uso, per l'appunto) e la gradazione tra abuso lieve ed abuso grave è determinata dal giudicante, quindi da colui che emette la sanzione ed, eventualmente, dal giudice cui è presentato il ricorso contro la sanzione. Posso solo dare la mia personale interpretazione. La gravità dell'abuso non dipende tanto dall'entità del danno cagionato all'animale, quanto dall'elemento soggettivo (dolo o colpa grave), dalla reiterazione, e dalla valutazione dei rischi e dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali. Ne consegue che, parlando di uso in deroga o di uso improprio, è configurabile un abuso grave anche nell'ipotesi di un veterinario che, pur conoscendo la normativa sul farmaco veterinario, sistematicamente somministri un farmaco fuori dalle ipotesi consentite, o che ometta sistematicamente la segnalazione di farmacovigilanza, anche laddove non vi sia alcun danno per gli animali. Sull'uso scorretto va precisato che molti lo fanno coincidere col "trattamento illecito" definito nell'art. 1, comma 3 lettera g), del D. Lgs. 158/2006, confondendo ulteriormente la questione.
Allo stato attuale, comunque, a differenza della precedente norma del 1992, è stata meglio definita la possibilità per il veterinario, in via eccezionale e sotto la sua responsabilità, di accedere a medicinali in deroga, rispettando la cosiddetta cascata, al fine di evitare all'animale evidenti stati di sofferenza, così come a medicinali con posologia e via di somministrazione diversi da quelli previsti nell’AIC, previa segnalazione di farmacovigilanza.
L’attuale impianto dell’uso a cascata vincola rigidamente il veterinario “Ove non esistano medicinali veterinari autorizzati per trattare una determinata affezione”, a seguire nell’ordine e per esclusione, a cascata, le alternative indicate dall’art. 11 del DLgs 193, senza che nessuna analisi del rischio giustifichi tale rigidità.edente norma del 1992, è stata meglio definita la possibilità per il veterinario, in via eccezionale e sotto la sua responsabilità, di accedere a medicinali in deroga, rispettando la cosiddetta cascata, al fine di evitare all'animale evidenti stati di sofferenza, così come a medicinali con posologia e via di somministrazione diversi da quelli previsti nell’AIC, previa segnalazione di farmacovigilanza.
Risulta difficile capire perché il legislatore non abbia consentito al veterinario, in assenza di farmaco di elezione, di scegliere indifferentemente una delle alternative presenti sul mercato sia essa veterinaria, umana, nazionale od europea a pari livello in merito alla sua valutazione professionale. Ancor più difficile capire ai fini della tutela del consumatore e della sanità e benessere animale come si possa pensare di dare la precedenza ad un farmaco ad uso umano rispetto ad un “medicinale veterinario autorizzato in un altro Stato membro per l'uso sulla stessa specie… per l'affezione di cui trattasi”. Tale impostazione è strettamente legata agli obiettivi della Dir. 28 laddove dice che, pur essendo lo scopo della normativa quello di tutelare salute pubblica e salute e benessere degli animali, tuttavia questa tutela deve essere raggiunta avvalendosi di mezzi che non ostacolino lo sviluppo dell'industria farmaceutica o il commercio dei medicinali veterinari nella Comunità (diventato “considerata” della Dir. 82/01 aggiornata). L’attuale uso a cascata, infatti, sia per gli animali da reddito che d’affezione spinge fortemente verso la tutela della diffusione del farmaco veterinario autorizzato presso il proprio paese per l'uso su un'altra specie animale o per un'altra affezione sulla stessa specie, a seguire del farmaco autorizzato per l’uso umano, quindi del medicinale veterinario autorizzato in un altro Stato membro per l'uso sulla stessa specie o su un'altra specie destinata alla produzione di alimenti per l'affezione di cui trattasi o per un'altra affezione, infine del medicinale veterinario preparato estemporaneamente da un farmacista a tal fine, conformemente alle indicazioni contenute in una prescrizione veterinaria. Tutto ciò, anche in assenza di motivazioni evidenti sulla validità della gerarchia di tale scelta, in assenza del farmaco di elezione.