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Suinicoltura + Suinicultura

Review: cosa sappiamo della Peste Suina Africana (PSA)-Parte 2 di 2

(dott.ssa Francesca Grapelli)

Qui la prima parte dell'intervento

La gamma di ospiti della PSA è molto ristretta e comprende i suini come unici vertebrati ospiti e zecche molli del genere Ornithodoros come artropodi vettori-competenti. Per il quadro epidemico globale, il ruolo della zecca è, in realtà, assai marginale; ciò vale fino al momento in cui il virus giunge in un nuovo habitat, ecco allora che, con la presenza di zecche anche in aree un tempo indenni, causa l’innalzamento delle temperature, il ruolo di diffusione della malattia nel ciclo selvatico di tale habitat potrebbe divenire più rilevante.

La PSA può essere trasmessa tramite contatto diretto tra animali infetti e sensibili e tramite contatto indiretto con oggetti o mangimi contaminati. Una volta che il virus entra in un territorio, difficilmente viene eradicato, a causa della sua estrema stabilità ambientale.

Il virus ha una bassa morbilità e alta mortalità, almeno nella maggior parte dei casi. In Africa, dove il virus è nato, esistono dei suidi selvatici resistenti, come il facocero e il potamocero, mentre, nei suidi domestici la malattia si manifesta spesso nella sua forma iperacuta o acuta. 

La PSA non ha zoonosi potenziale e non ci sono indicazioni che ciò possa cambiare.

Tornando alla domanda “E se la letalità non è del 100%, i sopravvissuti sono portatori?”, ricerche scientifiche hanno dimostrato come il virus possa ancora essere isolato dai sopravvissuti per circa 60-70 giorni e, solo il suo genoma, anche fino a 100 giorni; ciò è giustificato dal fatto che gli anticorpi non sono completamente neutralizzanti. Il ruolo di questi portatori persistentemente infetti è ancora discusso, soprattutto se considerato in un territorio endemico; tuttavia, non ci sono prove di un ruolo importante di tali portatori dall’esperienza sul campo e da studi a lungo termine. Lo studio di Stahl et al., del 2019, ha mostrato l’assenza di trasmissione virale alle sentinelle negative poste in contatto con i portatori e la scomparsa del virus nei portatori oltre i 100 giorni. Sulla base di questo studio, si può allora ipotizzare che un portatore che è positivo a PCR per il VPSA, ma che non possiede gli anticorpi correlabili ad una recente o terminale malattia, abbia un potenziale di contagiosità molto basso. Gli animali che invece mostrano sierologicamente gli anticorpi, sono quelli che, qualora dovessero rincontrare il virus, non si reinfetteranno: queste almeno le ipotesi teoriche riguardo alla persistenza ed efficacia degli anticorpi.

Diagnosi

Una diagnosi rapida e affidabile è di fondamentale importanza dal momento che la peste suina africana è una malattia soggetta a notifica internazionale. Sarebbe opportuno disporre di un test capace di rilevare tutti i genotipi e le varianti del virus, comodo e pratico all’uso, di rapida interpretazione e dal costo moderato; è chiaro che non tutte le caratteristiche possono essere soddisfatte allo stesso tempo e per questo motivo dovrebbero essere stabiliti flussi di lavoro diagnostici che siano usufruibili anche per l’identificazione del virus nel selvatico.

I test oggi disponibili per la PSA sono la reazione a catena della polimerasi (PCR), il test di immunoassorbimento enzimatico (ELISA), l’immunoblotting e l’immunofluorescenza; sono in commercio, perlopiù nei paesi con risorse limitate, dei kit Flow Assay (LFA).

Vaccini

Ad oggi mancano ancora vaccini sicuri ed efficaci contro la PSA e la produzione della maggior parte di questi è fortemente ostacolata dalla mancanza di una linea cellulare permanente che sia sufficientemente sensibile alla PSA e che non imponga ulteriori adattamenti genetici per manipolarla.

Si arriverà alla progettazione del vaccino perché esistono animali selvatici che sono resistenti ed esistono animali che sono sopravvissuti alla malattia; rimane da capire come si debba indirizzare il sistema immunitario a reagire di fronte al virus, perché, come detto, gli anticorpi non sono totalmente neutralizzanti. Il virus della PSA lavora nell’organismo in modo assai abile perché modula il sistema immunitario e ne elude le risposte, per cui la ricerca dev’essere indirizzata in primis alla scoperta delle esatte azioni che il virus compie in tal senso. Con la diffusione pandemica della PSA, la ricerca sullo sviluppo di vaccini è stata intensificata e si sono ottenuti risultati molto promettenti, tanto che forse, dichiara Bosch-Camós nel suo studio del 2020, la strada non è così lunga come si prospettava. Rimane comunque il grande ostacolo – e rischio- di dover lavorare su cellule primarie, per i motivi suddetti.

Il vaccino inattivato non ha mostrato alcun effetto protettivo sostanziale, poiché ha determinato la sola produzione di anticorpi non neutralizzanti.

Il vaccino vivo attenuato è stato per la prima volta sperimentato negli anni ’60, in Portogallo e in Spagna, dove però ha indotto debilitanti lesioni croniche in molti animali vaccinati e ha portato ad un aumento del numero di casi in entrambi i paesi; tale vaccino è stato ovviamente poi ritirato dal commercio. ll vaccino vivo ha, come sempre, il rischio che possa ricombinarsi con quello di campo e peggiorare il quadro epidemiologico. In tempi recenti (Sereda et al., 2020), un nuovo vaccino vivo attenuato è stato sperimentato e anche in questo caso i candidati vaccinati hanno mostrato una viremia piuttosto prolungata, lievi reazioni febbrili, ma una protezione ancora incompleta, soprattutto negli animali immunocompromessi. Nel 2018 è stato trovato in natura, negli Stati Baltici, un ceppo virale che, al test, mostrò un buon profilo di sicurezza ed efficacia dopo l'immunizzazione orale di cinghiale, onde per cui è stato poi usato per elaborare un vaccino vivo. In questo caso, i risultati sembravano promettenti, poiché si è registrato nei vaccinati un leggero aumento di temperatura corporea, basse cariche virali, presenza di anticorpi contro il virus della PSA e mancato di sviluppo della forma acuta nel 92%, tuttavia mancano ancora dati sulla sicurezza e sull'innocuità del vaccino, dal momento che, anche se vaccinati, gli animali hanno trasmesso il virus.

Tra i candidati più promettenti per i vaccini contro la PSA ci sono i mutanti di delezione creati mediante ricombinazione omologa: questo approccio consente l’eliminazione dei geni di virulenza e degli inibitori dell'interferone; tuttavia, sulla base degli studi condotti con questi vaccini sperimentali, si è giunti alla conclusione che, in mancanza di un profilo genomico preciso e di alta qualità, ancora non si conoscono le correlazioni geniche e che quindi, non sempre si ottiene il vaccino che si pensava di ottenere o si ottiene un vaccino che protegge solo per alcuni genotipi e varianti. Molto recentemente, nel 2020, Chen et al. hanno presentato un vaccino vivo attenuato con sette geni deleti capace di conferire una protezione dose-dipendente contro il virus della PSA. Lo studio riferisce che tutti gli animali immunizzati hanno sviluppato febbre e sono sopravvissuti al periodo di osservazione di 21 giorni, gli animali gravidi non hanno abortito, ma la protezione è stata comunque breve, poiché, la prova sperimentale di ri-inoculo del virus dopo 130 giorni ha causato la malattia acuta in tutti i soggetti e pare che neppure un booster di una prima dose moderata sia sufficiente a creare una duratura immunità. La durata di immunità è altamente dose-dipendente e sembra proprio che sia un punto debole dei vaccini contro la PSA.

Un altro candidato vaccino recentemente segnalato dallo studio di Borca et al. (2020), basato su un virus di PSA della Georgia, deleto di un solo gene, non ha fatto comparire alcun segno clinico ai vaccinati per 28 giorni, non ha diffuso la malattia agli animali sentinella e determinato la formazione di livelli elevati di anticorpi; a 28 giorni si è realizzata un’infezione sperimentale e tutti i vaccinati sono rimasti clinicamente sani e solo un animale in PCR aveva una bassa carica del virus di prova inoculato.

Il vaccino vettore- a subunità-a DNA non è possibile elaborarlo dal momento che i fattori che intervengono nell’organizzazione di una efficiente risposta immunitaria sono sconosciuti, sia nella funzionalità che nella localizzazione, sebbene, per definizione, godano di una sicurezza migliore e siano differenziabili dal virus di campo (vaccini DIVA). Inoltre, la produzione di questi vaccini di solito non viene fatta a partire dalle cellule primarie del virus stesso, ma in questo caso, proprio perché mancano conoscenze sugli antigeni protettivi e sulla loro possibile interazione, è necessario utilizzare queste. Sono stati fatti comunque dei tentativi, anche recenti (il più recente risale allo studio di Goatley et al., 2020), ma tutti con risultati di protezione scadenti o addirittura di peggioramento del quadro clinico iniziale.

Controllo della malattia

L’OIE, oggi chiamata World Organisation for Animal Health, ha definito la PSA come una malattia soggetta a denuncia in tutto il mondo e ciò vuol dire che tutti i suidi che presentano segni clinici o lesioni anatomopatologiche suggestive di PSA devono essere sottoposti ad appropriate indagini sul campo e di laboratorio. L’organizzazione ha attivato un programma di sensibilizzazione e di sorveglianza che dovrebbe essere correttamente applicato in tutti i Paesi.

In Italia

In Italia è nato il Piano Nazionale di Sorveglianza che prevede l’applicazione di misure di biosicurezza nei territori indenni e lo svolgimento di test diagnostici su suini e cinghiali rinvenuti morti nelle zone di sorveglianza. In più, con il Decreto del 28 giugno del 2022 si è dato obbligo agli allevamenti di adeguarsi alle misure di biosicurezza strutturali e gestionali.

Come previsto per tutti gli Stati Membri dell’Unione Europea, in base alla situazione epidemiologica e al livello di rischio, in Italia le aree colpite dalla PSA sono classificate come zone soggette a restrizioni:

- Zone soggette a restrizioni I: aree ad alto rischio senza casi né focolai di PSA confinanti con le zone di restrizione II, III;
- Zone soggette a restrizioni II: presenza di PSA solo nel cinghiale;
- Zone soggette a restrizioni III: presenza di PSA sia nei suini domestici che nei cinghiali.

L' Ordinanza Commissariale 5/2023  dispone le misure di controllo da applicarsi nelle zone soggette a restrizione I e II. Tra le attività elencate per i suini selvatici vi sono:

  • Ricerca attiva delle carcasse di suini selvatici nelle zone di restrizione I e II;
  • Sorveglianza passiva sui cinghiali rinvenuti morti o moribondi, sia catturati che abbattuti, segnalati alle autorità competenti nelle zone di restrizione I e II;
  • Sorveglianza attiva mediante dispositivi di cattura in zona di restrizione I e II, ove necessario e sulla base delle indicazioni operative fornite dal Gruppo operativo degli esperti per la PSA. In zona di restrizione I, sorveglianza attiva mediante attività venatoria e di controllo, regolamentata e nel rispetto delle misure di biosicurezza previste;
  • Nella zona di restrizione II, rafforzamento delle barriere fisiche eventualmente già presenti all’interno della zona infetta, o comunque nei punti di passaggio naturali o artificiali tra la zona infetta e l’esterno, ed eventuale costruzione di una seconda barriera artificiale.

 

In caso di focolaio nel domestico, nelle zone di restrizione vengono disposti:

  • l’abbattimento dei capi dell’azienda infetta e di quelle ricadenti nelle zone di restrizione
  • il blocco delle movimentazioni di animali e di prodotti dell’azienda infetta
  • indagine epidemiologica per la ricostruzione delle movimentazioni dall’azienda nei giorni precedenti, in modo da valutare e scongiurare l’ulteriore diffusione dell’infezione

Qualora venga riscontrato un caso di PSA in suini selvatici in un territorio indenne, viene istituita una zona infetta, composta da zona di protezione della zona di sorveglianza, conformemente al Regolamento delegato (UE) 2020/687 che integra il Regolamento (UE) 2016/429, in attesa che l'area interessata sia classificata come zona soggetta a restrizioni II.

La Zona di Sorveglianza (ZS) comprende tutto il territorio dove si è verificata la circolazione virale, spesso con un raggio di almeno 10 km; la Zona di Protezione (ZP) si estende di norma per un raggio di 3-4 km intorno all’azienda dove è stata evidenziata la circolazione virale. Secondo l' Ordinanza 5/2023 , tra le attività previste nelle zone infette nei confronti dei suini selvatici rientrano:

  • ricerca attiva delle carcasse;
  • sorveglianza passiva sui cinghiali rinvenuti morti o moribondi, sia catturati che abbattuti, e segnalati alle autorità competenti;
  • sorveglianza attiva mediante dispositivi di cattura ove necessario e sulla base delle indicazioni fornite dal Gruppo operativo degli esperti per la PSA;
  • eventuale depopolamento delle aziende suinicole familiari e/o delle aziende con uno scarso livello di biosicurezza;
  • eventuale programmazione delle macellazioni delle aziende commerciali;
  • blocco delle movimentazioni di animali vivi e di prodotti.


In caso di focolaio nel domestico, nelle zone di restrizione vengono disposti:

  • l’abbattimento dei capi dell’azienda infetta e di quelle ricadenti nelle zone di restrizione;
  • il blocco delle movimentazioni di animali e di prodotti dell’azienda infetta;
  • indagine epidemiologica per la ricostruzione delle movimentazioni dall’azienda nei giorni precedenti, in modo da valutare e scongiurare l’ulteriore diffusione dell’infezione;

In assenza di un vaccino, quindi, la biosicurezza è fondamentale per prevenire l’introduzione e la diffusione della PSA in aziende suinicole. È fondamentale la gestione della densità del cinghiale, soprattutto nelle aree limitrofe ai centri delle città; è importante altresì sottolineare come anche lo smaltimento dei rifiuti alimentari e dei sottoprodotti debba essere correttamente realizzato. L’igiene e la salubrità delle carni dovrebbe essere garantita in tutti i Paesi del mondo, tuttavia, laddove esiste ancora l’autoconsumo, la povertà e la scarsa igiene, scarso potere politico hanno i manuali redatti dalla FAO e dall’OIE a proposito della prevenzione alle malattie trasmissibili attraverso i prodotti di origine animale. La situazione epidemiologica in Italia, così come in Europa e nei Paesi asiatici, è in evoluzione, ma va sottolineato che, in particolare nelle popolazioni selvatiche, controllare l’infezione è estremamente difficoltoso dal punto di vista tecnico. Di fatto, attualmente solo due paesi sono riusciti ad eradicare la PSA nel cinghiale: la Repubblica Ceca e il Belgio, in cui il virus è stato introdotto in modo puntiforme tramite fattore umano, poi individuato tempestivamente ed eliminato concentrando le risorse e gli sforzi su un’area che però era relativamente piccola.

 

Bibliografia
  • African swine fever – A review of current knowledge,  Sandra Blome, Kati Franzke, Martin Beer, 2020
  • Video IZS-Ve: Emergenza PSA. Informazioni per gli allevatori: https://www.youtube.com/watch?v=pSSGflEWmMY
  • OIE WAHIS, visitato online il 15 dicembre 2023
  • Animal Disease Notification System of the European Commission, visitato online 15 dicembre 2023
  • https://www.salute.gov.it/portale/pesteSuinaAfricana/dettaglioContenutiPSA.jsp?lingua=italiano&id=5955&area=pesteSuinaAfricana&menu=vuoto
  • Bollettino epidemiologico nazionale- Peste Suina Africana:https://storymaps.arcgis.com/stories/7f16f51731654a4ea7ec54d6bc1f90d4
  • Peste Suina Africana, presentazione IZS-Ve: https://www.izsvenezie.it/documenti/comunicazione/materiale-editoriale/1-comunicazione-scientifica/appunti-scienza/peste-suina-africana.pdf