(Dott. Giusy Romano)
La Leptospirosi è una malattia infettiva batterica, causata dalla spirochete Leptospira (foto 1 a fianco), che colpisce vari animali, tra cui il suino, che, purtroppo, è in grado di trasmetterlo anche all’uomo. Questa patologia, infatti, viene definita una zoonosi professionale e le persone più coinvolte sono quelle, appunto, più professionalmente esposte al contatto con i suini, quindi gli allevatori, il personale di allevamento, i veterinari e i macellatori. Nel suino, spesso, la malattia si manifesta in maniera asintomatica o con la presenza di ittero cutaneo (=colore giallastro; foto 2), soprattutto negli allevamenti di svezzamento e ingrasso, mentre in scrofaia potrebbe essere causa di aborto e di nascita di suinetti poco vitali e, per questo motivo, è sempre opportuno inserirla nelle diagnosi di differenziali in caso di problematiche riproduttive analoghe, insieme alle classiche PRRS e Parvovirosi, oltre ad inserire nel programma vaccinale delle scrofe anche la copertura verso questo batterio patogeno. La principale problematica della patologia, purtroppo, risiede nella sua ricerca diagnostica, rientrando tra quelle malattie che sono soggette a notifica sanitaria e, di conseguenza, a provvedimenti sanitari ufficiali nel caso in cui la sua presenza venga rilevata dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale sui campioni sospetti conferiti, ed è anche per questo motivo che la reale prevalenza della malattia in allevamento è sicuramente sottostimata.
I suini infetti, per lo più asintomatici, eliminano le leptospire con le urine, andando così a contaminare l’ambiente e le attrezzature circostanti. Le principali fonti di rischio per il contagio dal suino all’uomo sono quindi le urine, gli aerosol, l’acqua e le attrezzature contaminate, il materiale abortito, le secrezioni post-partum e, in sede di macellazione, i reni e le vesciche degli animali infetti. La trasmissione suino-uomo può quindi avvenire sia per contatto diretto delle fonti di rischio con la cute macerata o lesionata, con le mucose o con anche ferite lievi (ad esempio piccoli tagli sulle mani), sia per via congiuntivale e sia via respiratoria attraverso, appunto, gli aerosol.
Gli allevatori e il personale di allevamento sono a rischio di contagio nel momento in cui effettuano il lavaggio dei capannoni e della sale, a causa della formazione di aerosol nell’aria, per il contatto con urine e fluidi uterini durante il parto e per il contatto con le attrezzature contaminate. Analogamente, i veterinari rischiano di incontrare il batterio durante attività quali l’assistenza al parto o l’esecuzione di interventi chirurgici o di prelievi ematici. I macellatori, invece, sono esposti maggiormente al rischio di contaminazione contestualmente alla fase di eviscerazione dei reni e durante la manipolazione dei visceri, in particolare della vescica, oltre che durante il lavaggio degli impianti di macellazione con formazione di aerosol nell’aria. Vien da sé che l’utilizzo di adeguati dispositivi di protezione individuali (foto3), a partire da semplici guanti monouso per eseguire le mansioni più comuni, fino ad arrivare a maschere coprenti il viso durante il lavaggio dei capannoni o degli impianti di macellazione, sia la maniera più immediata di prevenire il contagio.
La presenza della malattia nell’uomo non è da sottovalutare, nonostante la malattia in sé venga spesso sottovalutata, poiché i sintomi che possono presentarsi variano da più lievi a decisamente gravi. In particolare, si distinguono due forme:
Forma anitterica: costituita da una fase iniziale setticemica e una fase immune successiva. La fase setticemica si può manifestare con cefalea, mialgie, brividi, febbre, tosse, faringite, dolore toracico, colpi di tosse con sangue, arrossamento della congiuntiva; la fase immune inizia dal 6° al 12° giorno dall’inizio della comparsa della malattia e potrebbero rimanifestarsi alcuni dei sintomi presentati nella fase setticemica.
Forma itterica: esordisce come forma anitterica ma si sviluppa successivamente con ittero, iperazotemia, anemia, disturbi della coscienza e febbre continua. In molti casi possono anche manifestarsi colpi di tosse con sangue, perdita di sangue dal naso ed emorragie del tratto digerente. La maggior parte delle persone che non sviluppano ittero guarisce, mentre la morte si verifica solitamente in circa il 5-10% dei soggetti con ittero e in una percentuale maggiore in soggetti di età superiore ai 60 anni.
La Leptospirosi deve essere presa in considerazione in qualsiasi paziente con febbre di origine sconosciuta che potrebbe essere stato esposto alle leptospire. In queste situazioni sarebbe opportuno effettuare degli approfondimenti diagnostici attraverso emocolture, dosaggi di anticorpi in fase acuta e in convalescenza, emocromo, esami di chimica clinica, test di funzionalità epatica e, in caso di meningite, anche rachicentesi. Una PCR piò comunque confermare rapidamente la diagnosi durante la fase iniziale della malattia.
Per le categorie professionali più a rischio, quindi, oltre a incentivare sempre l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale durante tutte le operazioni che potrebbero determinare un contatto diretto o indiretto con materiale contaminato, sarebbe consigliabile effettuare degli esami periodici con frequenza minimo annuale, in particolare dei test sierologici, per valutare la presenza di anticorpi contro Leptospira e quindi se c’è stata un’esposizione al batterio, un esame delle urine e una valutazione del profilo epatico e renale. Inoltre, a livello preventivo per le persone professionalmente più esposte, si potrebbe anche pensare di effettuare una profilassi vaccinale o un trattamento antibiotico preventivo a base di penicillina o doxiciclina.