(dott.ssa Aurora Iotti)
“L’abbiamo avuta, l’abbiamo e l’avremo” così il Professor Vittorio Sala, docente presso il Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria dell’Università di Milano, ha voluto esordire alla giornata di studio della SIPAS tenutasi a Parma il 13 ottobre 2023 dedicata alla “Streptococcosi nel suino: esperienze a confronto”.
Streptococcus suis è un batterio patogeno opportunista del suino, ormai conosciuto da più di 70 anni ed in Italia è stato isolato per la prima volta nel 1984 da casi di meningite. Negli anni sono stati identificati fino a 35 sierotipi, ciascuno dei quali presenta diverse caratteristiche di patogenicità e virulenza. Il sierotipo 2 è quello più frequentemente associato a patologia e rappresenta il più importante ceppo zoonotico (ovvero che si può trasmettere all’uomo); altri ceppi predominanti sono il 9, l’1, il 3 e il 7.
Il batterio può localizzarsi a livello della mucosa vaginale delle scrofe (di scrofe così dette portatrici), per poi trasferirsi nelle tonsille dei suinetti neonati al momento del parto. Altre localizzazioni possono essere le articolazioni e le meningi ma non si devono sottostimare le localizzazioni intestinali piuttosto che respiratorie.
L’infezione può avvenire per contatto, per via aerogena o per ingestione, sfociando in infezioni sistemiche che portano a setticemie e polisierositi, con localizzazioni articolari (artriti – Foto 1), polmonari (polmoniti), cardiache (endocarditi), oppure nelle meningi (meningiti- Foto 2) fino a forme setticemiche acute in grado di provocare morte improvvisa.
Foto 1 – Soggetto con cianosi auricolari (setticemia) ed arti gonfi in sala parto
Foto 2 – Soggetto con clinica da meningite in svezzamento.
Frequenti sono anche i casi in cui alcuni soggetti risultano essere portatori senza mai sviluppare la malattia contribuendo però alla sua diffusione. Per questo motivo, è evidente come il controllo di questa patologia negli allevamenti sia da sempre complesso e l’eradicazione un’utopia.
Negli anni, i principali metodi di prevenzione e controllo sono stati la vaccinazione e l’uso sistematico di antimicrobici (prevalentemente di β-lattamici). Entrambe queste pratiche, però, al giorno d’oggi, presentano delle controindicazioni:
- L’uso preventivo e regolare di antibiotici è una pratica poco prudente, che non modifica l’epidemiologia aziendale e contrasta con le direttive comunitarie riguardanti la riduzione dell’uso di questi farmaci negli allevamenti. A detta azione dovrebbe ricorrersi solo in terapia.
- L’uso di vaccini commerciali, invece, presenta delle limitazioni legate alla scarsa cross-protezione fra i vari sierotipi e all’elevato numero di sierotipi che spesso si ritrovano associati nei focolai, peraltro non sempre ben identificabili, e che risulta piuttosto complicato avere presenti nei vaccini stessi (se non attraverso l’allestimento di specifici vaccini stabulogeni).
Quindi, come si può agire per ridurre l’incidenza di questa patologia ormai consolidata negli allevamenti? Possiamo identificare quali sono i fattori predisponenti e fare scelte manageriali consapevoli che aiutino nel controllo della malattia.
Nel corso della giornata studio, i relatori hanno riportato diverse strategie di management per contrastare S. suis, che possono essere riassunte in:
- Gestione efficiente delle bande in modo da poter controllare al meglio la pulizia e la disinfezione degli ambienti (in quanto S. suis ha una discreta resistenza ambientale nelle feci e nell’acqua).
- Gestione separata delle scrofette e dei loro figli, sia durante i pareggiamenti che durante gli svezzamenti, in quanto è fondamentale considerare i diversi livelli di immunità dei soggetti.
- Scelte alimentari consapevoli, sia per le scrofe sia per i suinetti, che possono modulare l’espressione di fattori di patogenicità. Questo aspetto non è da trascurare soprattutto durante la prima settimana post-svezzamento, fase notoriamente riconosciuta come particolarmente stressante per il suinetto, dove, con un’alimentazione estremamente curata, è necessario prevenire disbiosi intestinali che favorirebbero il passaggio di numerosi batteri (non solo S. suis ma basti pensare anche al E. coli) dal lume intestinale al torrente circolatorio, rischiando il manifestarsi della sintomatologia.
In questo modo si ritiene che sia possibile ridurre l’incidenza di meningiti acute, di scarti e ridurre la necessità di terapie d’urgenza.
Un aspetto su cui ci si è soffermati riguarda il rimescolamento dei suinetti, argomento di discussione in tema di diffusione di numerose patologie (es. PRRS). Le scrofette, soprattutto se acquistate e senza un’opportuna quarantena in grado di metterle a contatto con i sierotipi di S. suis circolanti in azienda, potrebbero generare suinetti completamente negativi (quindi senza anticorpi) in grado di manifestare gravi quadri clinici, una volta messi in contatto con i figli delle pluripare che, sebbene portatrici (in grado quindi di generare suinetti potenzialmente portatori ed escretori), conferiscono loro anche un adeguato corredo immunitario.
Eseguire i pareggiamenti separati tra scrofe e scrofette, sempre dopo un’opportuna colostratura, permette di evitare il rischio di distribuire suinetti potenzialmente portatori in covate con ridotta resistenza immunitaria.
Lo stesso discorso si può fare per i rimescolamenti allo svezzamento: fare gruppi “primipare derivati” permette di circoscrivere il problema in determinati gruppi/box, riducendo il rischio di diffusione nel resto della banda; evitare eccessivi spostamenti permette anche di ridurre l’incidenza di lotte gerarchiche, scongiurando lesioni cutanee che il patogeno potrebbe sfruttare come via d’ingresso.
Secondo l’esperienza del Dott. Fausto Vezzoli dell’IZSLER, uno strumento in più su cui contare all’interno delle strategie di controllo sanitario potrebbe essere rappresentato dai vaccini stabulogeni. Questi potrebbero essere usati come parte integrante di un Piano Sanitario Aziendale che, però, necessiterebbe di un’applicazione corretta (quindi preceduto da una corretta tracciabilità epidemiologica preliminare) e di un aggiornamento costante.
Durante la giornata è intervenuto inoltre il Dott. Tijs Tobias, della Royal GD Animal Health, che ha riportato l’esperienza olandese, dove gli allevamenti suinicoli hanno registrato anch’essi un’alta prevalenza di questa patologia. Fino a qualche anno fa, anche in Olanda la prima contromisura adottata per far fronte al patogeno è stato ricorrere all’uso di antimicrobici; l’uso eccessivo ha generato problemi di antimicrobico resistenza (AMR) grave, obbligando le autorità preposte a disporre affinché veterinari ed allevatori riducessero del 50% l’uso di antibiotici.
Per conformarsi alle suddette disposizioni, le parti in causa si sono ispirate al Modello Polder, un metodo che prevede la totale collaborazione fra le parti, mediante incontri, discussioni e decisioni condivise per affrontare insieme la diffusione del patogeno; si è giunti a redigere delle Linee Guida dove sono state riportate diverse possibili strategie da attuare per aumentare l’immunità dei suinetti e ridurre il rischio di infezione.
Fra le strategie contenute in queste linee guida, durante l’intervento è stata illustrata quella relativa all’aumento dell’età allo svezzamento, che in Olanda era comunemente praticato a 21 gg; attualmente sono riusciti ad aumentarlo a 28-35 gg, riscontrando netti miglioramenti, puntando per il futuro a raggiungere il 42° gg.
In conclusione, non è ancora stata trovata la “soluzione magica” per risolvere questa criticità, ma durante la giornata di studio sono state illustrate quali misure preventive possono risultare efficaci per combattere S. suis, rappresentate da pratiche gestionali che si ritiene costituiscano un’ottima base di partenza per ridurre la sua incidenza, riducendo allo stesso tempo la mortalità dei soggetti e la creazione di scarti in un’ottica, sempre più richiesta dal mercato, di uso prudente dell’antibiotico