(Dott.ssa Giusy Romano)
Il discorso riguardante la peste suina africana (PSA) è alquanto spinoso e delicato, soprattutto in questo momento già troppo complicato da imprevisti virali umani ancor più preoccupanti, ovvero la seconda ondata della pandemia dell’odiatissimo Covid-19. Ebbene sì, anche per i nostri maiali esiste il rischio di incorrere in una malattia virale come noi, ma la PSA non è causata da un coronavirus, bensì da un asfivirus, con esito solitamente infausto e per la quale, guarda caso, attualmente non esistono vaccini. La buana notizia è che la PSA non è trasmissibile all’uomo, ma comunque la malattia causa gravi e pesanti conseguenze socio-economiche per gli allevatori che hanno la sfortuna di incontrarla. Lo scopo di questo articolo è quindi di rivisitare le origini del virus e la sua resistenza/persistenza, oltre a proporre delle misure di prevenzione e controllo al fine di minimizzare il rischio di diffusione della PSA negli allevamenti suinicoli.
In generale, fino alla fine degli anni ’90 l’Europa, ad eccezione della Sardegna, era indenne da PSA, ma nel 2007 l’infezione è stata segnalata in Georgia, da dove poi è dilagata in Russia e nel 2014 ha raggiunto l’Unione Europea, identificando il cinghiale come unico serbatoio epidemiologico. Ad oggi, sono 10 i paesi dell’Unione Europea interessati dalla PSA, e l’ultimo ad aggiungersi alla lista è stato il nostro “vicino di casa” Belgio. Questa patologia rappresenta una reale minaccia per l’industria suinicola sia europea che mondiale, essendo comparsa anche in Cina nel 2018 e in Vietnam e Mongolia nel 2019 (Immagine 1).
Immagine 1. Diffusione mondiale della PSA, aggiornata ad ottobre 2018 (World Animal Health Information and Analysis Department – OIE).
Le modalità di diffusione del virus della PSA sono due: la trasmissione diretta attraverso animali infetti, perlopiù cinghiali che si spostano nelle aree limitrofe diffondendo la malattia, e la trasmissione indiretta attraverso l’introduzione del virus da parte dell’uomo a breve, medio e lungo raggio. Questo virus è inoltre molto resistente, infatti si dimostra essere capace di sopravvivere nell’ambiente, nelle carni fresche e congelate, nei prodotti di salumeria e nei sottoprodotti della lavorazione. Il rischio di trasmissione dell’infezione attraverso prodotti contaminati condiziona notevolmente il commercio a livello internazionale e anche l’Italia ne risulta interessata, considerando l’importanza che rivestono i prodotti di salumeria nell’industria italiana, anche se una stagionatura di 6 mesi si è dimostrata essere sufficiente a non rilevare la presenza del virus nell’alimento. Stanno infatti crescendo il numero di segnalazioni di prodotti di suini sequestrati ai punti di controllo frontalieri provenienti da paesi infetti e risultati virus positivi per PSA, confermando il ruolo svolto dall’uomo nella diffusione della malattia, anche a lungo raggio.
Al fine di un controllo efficace della patologia, non esistendo un vaccino efficace contro la stessa, risulta di fondamentale importanza eseguire una diagnosi precoce della malattia e applicare le dovute misure di eradicazione, oltre ad applicare le misure di prevenzione e biosicurezza nei territori indenni. È infatti estremamente importante che i territori indenni rimangano tali e in Italia si sta implementando un piano di sorveglianza in grado di svelare prontamente eventuali incursioni dell’infezione. Sembrerebbe infatti che l’Italia sia più a rischio di incorrere nella PSA in seguito all’introduzione del virus tramite l’uomo, essendo un rischio costante difficilmente prevedibile e quantificabile, piuttosto che attraverso la naturale diffusione geografica dei cinghiali, essendo invece quest’ultima prevedibile, lontana e condizionata dall’evoluzione epidemiologica nei Balcani e in Belgio. La soluzione ideale sarebbe la costruzione di una cosiddetta “Early Detection” (rilevamento precoce) del virus, attraverso una sorveglianza passiva basata su test effettuati su campioni ottenuti da cinghiali morti.
Immagine 1. Diffusione mondiale della PSA, aggiornata ad ottobre 2018 (World Animal Health Information and Analysis Department – OIE).